Cosa ci guadagno? La teoria dell'egoismo e del contratto sociale

Abraham Bosse: disegno per il frontespizio del "Leviatano" di Thomas Hobbes. Pubblico dominio.

Gli egoisti sono noti per il loro grande ego. Sono egocentrici e si preoccupano poco degli altri. Se cercate su Google la frase "egoista", quasi tutte le pagine web che appaiono vi insegnano come trattare con loro se siete così sfortunati da incontrarne uno. Date queste connotazioni negative, potrebbe sorprendervi sapere che alcuni filosofi chiamati "egoisti etici" sostengono che agire moralmente vuol dire massimizzare il proprio interesse personale. Almeno in superficie, essere etici è altro dal cercare l'interesse personale. La moralità ci richiede, per esempio, di mantenere le promesse, di trattare gli altri in modo equo e di fare del bene a chi ha bisogno. Esige che non agiamo nel nostro interesse personale anche se possiamo ottenere dei vantaggi non rispettando le promesse, trattando gli altri in modo ingiusto o non aiutando i bisognosi. Perché allora dovremmo seguire norme etiche che limitano le nostre scelte? Qual è esattamente la relazione tra etica e interesse personale?

Quest'ultima domanda è quella centrale su cui ci concentreremo in questo capitolo. Vedremo come tre diversi punti di vista, noti come egoismo psicologico, egoismo etico e teoria del contratto sociale, affrontano questa domanda. Prima di immergerci nei dettagli di ogni teoria, ecco un quadro generale. L'egoismo psicologico sostiene che il vero comportamento altruistico non è altro che un pio desiderio, perché tutto ciò che facciamo è per definizione egoistico. L'egoismo etico fa un passo avanti, sostenendo che anche se potessimo essere altruisti, dovremmo ignorare qualsiasi richiesta etica perché dovremmo mettere noi stessi al primo posto. Infine, la teoria del contratto sociale sostiene che l'etica stessa è radicata nell'interesse personale, cioè che dovremmo davvero tenere conto degli altri ma solo, in ultima analisi, perché farlo è in accordo con ciò che vogliamo e di cui abbiamo bisogno per noi stessi.

Egoismo psicologico

Gli egoisti psicologici sostengono che tutto ciò che facciamo è egocentrico anche quando sembra che non lo sia. I comportamenti autosacrificali, come l'usare se stessi come scudo umano per proteggere gli altri in una sparatoria di massa, non possono confutare l'egoismo psicologico, perché le persone che si sacrificano non sono motivate da una preoccupazione altruistica. Piuttosto, fanno semplicemente ciò che più desiderano fare. Sacrificare la propria vita era ciò che volevano fare di più in quelle circostanze. Dato che fare ciò che si vuole fare di più è nel proprio interesse, il comportamento "auto-sacrificante" è anch'esso egoistico. L'altruismo non è altro che un'illusione.

Tuttavia, se fare ciò che sono motivato a fare è sempre egoistico, allora banalmente tutte le mie azioni sarebbero egoistiche. Per evitare questa accusa un egoista deve evitare di interpretare l'egoismo psicologico come se dicesse che, qualunque sia l'azione che si intende fare, essa è sempre egoistica per definizione. Una strategia migliore per un egoista psicologico è quella di sottolineare che si fa un'azione X sempre per promuovere il proprio interesse personale. Noi agiamo solo per il gusto di promuovere il nostro interesse.

Molti filosofi sono d'accordo sul fatto che il fine ultimo della propria azione è quello di promuovere il proprio interesse; ciò su cui non sono d'accordo è come intendere l'idea di "interesse". Aristotele (384-322 a.C.), per esempio, sostiene che la eudaimonia (il suo termine per la "felicità" che deriva da una vita completamente soddisfatta) è il fine ultimo di un agente razionale. Gli stoici, d'altra parte, sostengono che esistono attività virtuose o eccellenti prive di piacere. Altri ancora, come Baruch Spinoza (1632-1677), sostengono che il fine ultimo delle proprie azioni è realizzare o sviluppare se stessi. Per rendere quest'idea attraente, un egoista deve approfondire l'idea di auto-realizzazione o auto-sviluppo, che a sua volta implica la specificazione di ciò che è ideale da perseguire.

Max Stirner (1806-1856) propone che il fine ultimo della propria azione sia l'autogoverno e che per raggiungerlo sia necessario non prendere in considerazione gli interessi degli altri 1. Per Stirner, l'"io" è assoluto: "Tu per me non sei altro che – il mio cibo – allo stesso modo che io vengo da te consumato e usato. Noi abbiamo tra noi un solo rapporto, quello della servibilità, dell’utilizzabilità, cioè dell’utilità. Nessuno di noi due deve niente all’altro, giacché quello che sembra che io debba a te, lo devo tutt’al più a me stesso." (Stirner [1844] 2018, 729). Se si accetta la visione psicologica egoista secondo cui il fine ultimo è sempre il proprio interesse personale, l'immagine di Stirner dell'interazione umana potrebbe non sorprendere. Qualsiasi obbligo morale verso gli altri è soggetto al proprio interesse personale. Come egli dice, "bisogna infrangere la fedeltà, anzi finanche il proprio giuramento, per determinare se stessi, invece di essere determinati da riguardi morali" (Ivi, 583). Agire per l'interesse di un'altra persona è impossibile.

Una delle principali obiezioni all'egoismo psicologico è che si tratta di un esempio di teoria non verificabile. È molto improbabile che si possa sapere con certezza quanto la propria motivazione sia egoistica o altruistica. Questa difficoltà ha a che fare con il fatto che difficilmente si può conoscere con certezza la propria motivazione profonda. Ciò vale in entrambi i casi. Da un lato, gli egoisti psicologici possono sostenere che anche chi crede di fare la carità per ragioni altruistiche possa, nel profondo, ingannare se stesso; dall'altro, proprio perché è difficile essere certi della propria motivazione profonda, la stessa affermazione degli egoisti psicologici che nel profondo siamo tutti egoisti appare ingiustificata. Un recente studio empirico sfida addirittura la dicotomia tra egoismo e altruismo, mostrando che le persone capaci di esprimere un altruismo estremo sono etichettate come fortemente narcisiste (White, Szabo, e Tiliopoulos 2018).

Ecco i punti chiave: gli egoisti psicologici cercano di convincerci che non possiamo mai essere veramente altruisti e quindi una considerazione veramente realistica del comportamento umano non lascerebbe posto a nulla di lontanamente simile all'etica, se l'"etica" ci richiede, almeno a volte, di non perseguire il nostro interesse personale. Ma dato che difficilmente possiamo conoscere con certezza le nostre motivazioni profonde, potremmo ancora essere altruisti. L'egoismo etico, invece, sostiene che anche se potessimo essere altruisti, non dovremmo farlo.

L'egoismo etico

Mentre l'egoismo psicologico sostiene che il fine ultimo della propria azione è il proprio interesse personale, l'egoismo etico sostiene che si dovrebbe perseguire il proprio interesse. L'idea di base dell'egoismo etico è questa: promuovere il proprio interesse è in accordo con la moralità. Nella sua forma più forte, l'egoismo etico sostiene che si agisce moralmente se e solo se si promuove il proprio interesse. In questa sezion, discuteremo e valuteremo le affermazioni dell'egoismo etico di Adam Smith e di Ayn Rand. Finiremo considerando il più grande problema dell'egoismo etico, che ci servirà per passare al nostro prossimo argomento: la teoria del contratto sociale.

Adam Smith (1723-1790) sostiene notoriamente l'egoismo come ideale pratico in economia: ogni uomo d'affari che promuove il suo interesse promuoverebbe più efficacemente il bene comune, dato che la "mano invisibile" (cioè il libero mercato) coordinerebbe le attività economiche individuali. In altre parole, se sia i compratori che i venditori non perseguono altro che il miglior affare per se stessi, ne deriverà una situazione vantaggiosa per tutti. Un altro esempio quotidiano di come l'egoismo etico faccia emergere un risultato socialmente ottimale è lo sport competitivo. Il fatto che ogni squadra voglia vincere produce il risultato ottimale: se i giocatori giocassero senza tenere il punteggio, o se la squadra più debole ottenesse le stesse ricompense, il gioco sarebbe noioso da guardare e i giocatori non raggiungerebbero il loro pieno potenziale. In altre parole, solo quando ogni giocatore promuove il proprio interesse (cioè giocare per vincere) si otterrebbe il risultato migliore (cioè ci divertiremo a guardare il gioco e i giocatori raggiungeranno il loro potenziale).

Secondo Smith, il buon funzionamento della mano invisibile dipende dal capitalismo laissez-faire. Egli basa la sua analisi delle istituzioni e del comportamento sociale sui principi dell'azione umana, il cui punto di partenza è una forma di egoismo etico:

Ogni uomo è, senza dubbio, per natura, in primo luogo e principalmente raccomandato alla propria cura; e poiché egli è più adatto a prendersi cura di se stesso che di qualsiasi altra persona, è opportuno e giusto che sia così. (Smith [1759] 1976, 82)

Sebbene creda che uno dovrebbe in primo luogo perseguire il proprio interesse, Smith non rivendica di essere una persona egoista e crudele. Invece sostiene che la gentilezza reciproca è necessaria per la felicità (Smith [1759] 1976, 225). Partendo dal nostro impulso naturale di cercare di condividere il più possibile i sentimenti degli altri, adattiamo i nostri sentimenti a quelli delle persone che ci interessano e in questo processo alla fine sviluppiamo le virtù (110-133, 135-136). Delle due virtù principali, la giustizia e la beneficenza, l'esercizio della beneficenza "merita la massima ricompensa" (81). Ecco un quadro approssimativo: date le nostre pulsioni naturali e la nostra condizione sociale, siamo sulla strada dello sviluppo delle virtù, la più importante delle quali è la beneficenza. Dato che la benevolenza reciproca è necessaria per la felicità, possiamo dire che praticare la benevolenza è necessario per il proprio interesse. Facendo del bene a un'altra persona si sta ancora perseguendo il proprio interesse personale 2.

Anche Ayn Rand (1905-1982), che sostiene l'egoismo etico e il capitalismo laissez-faire, ritiene che l'egoismo sia una virtù. L'altruismo, che richiede il sacrificio di sé, è addirittura immorale. Secondo lei, la vita è il valore ultimo, e quindi "nessuna società può avere valore per la vita dell'uomo se il prezzo è la rinuncia al suo diritto alla vita" (Rand 1964, 32). Preoccupata per la sopravvivenza della civiltà, accusa l'altruismo di essere responsabile della distruzione del mondo civilizzato. L'altruismo è anche responsabile di aver reso possibili regimi totalitari come la Germania nazista e la Russia sovietica, dato che esso ha

la morte come fine ultimo e standard di valore, ed è logico che la rinuncia, la rassegnazione, l'abnegazione e ogni altra forma di sofferenza, inclusa l'autodistruzione, siano le virtù che propugna. (Rand 1964, 34-35)

Dato che gli esseri umani sono razionali, e che la vita è il valore ultimo, "l'egoismo razionale" è ciò che si dovrebbe perseguire (25-31). Agire razionalmente significa mettere il proprio interesse al primo posto. Secondo Rand, promuovere il proprio interesse non solo è razionale, ma è anche moralmente corretto.

Non avendo l'onere di dimostrare empiricamente che ognuno deve sempre agire per interesse personale, l'egoismo etico è più attraente dell'egoismo psicologico. Tuttavia il più grande problema dell'egoismo etico è che manca una regolamentazione autorevole dei conflitti di interesse interpersonali. Permettetemi di usare un esempio per illustrare questo punto. Supponiamo che mio nonno abbia indicato nel suo testamento che io sono il suo unico erede e supponiamo anche che non sia afflitto da nessuna malattia grave. Supponiamo che mio cugino cerchi il modo per prendere il mio posto come unico erede e supponiamo che io sia in una brutta situazione che richiede molto denaro che non ho. Può essere moralmente sbagliato per me uccidere mio nonno per assicurarmi il denaro ora? L'egoismo etico non può rispondere a questa domanda, perché dalla mia prospettiva non sarebbe moralmente sbagliato, ma dalla prospettiva di mio nonno lo sarebbe, e non c'è modo di giudicare tra queste prospettive.

Qualcuno potrebbe anche sostenere che l'egoismo etico sconfina nell'incoerenza. Se l'egoismo etico sostiene che ognuno dovrebbe fare ciò che è nel suo interesse, sembra disorientante, se non del tutto incoerente, ritenere che questo sia il modo in cui promuoviamo il bene sociale (cioè, il bene che va oltre l'ambito dell'interesse personale). Sembra autocontraddittorio che si promuova il bene sociale mentre ci si preoccupa solo di promuovere il proprio interesse. Questa obiezione colpisce l'egoismo etico se si ritiene che la promozione del bene sociale sia fondamentalmente incompatibile con la promozione del proprio interesse. Smith apparentemente pensa che non siano fondamentalmente incompatibili perché trova un modo per incorporare la virtù della benevolenza nel suo egoismo etico. Se lo faccia con successo (cioè se la sua assunzione che abbiamo una tendenza naturale a preoccuparci del benessere degli altri si adatta bene all'egoismo etico) è un'altra questione. Ma sembra che Rand non sfugga al problema. Se, come sostiene Rand, si dovrebbe promuovere il proprio bene e l'altruismo è immorale, allora non è chiaro per quale ragione lei si preoccupa della questione della sopravvivenza della civiltà (che presumibilmente promuove il bene comune).

Il problema più grande per l'egoismo etico è che non riesce ad essere una teoria morale perché non è in grado di affrontare i conflitti di interesse interpersonali. Chiedere alle persone di perseguire solo i loro interessi individuali non è sufficiente. Come dimostrano innumerevoli esempi, possiamo tutti beneficiare molto di più dalla cooperazione. La questione della coordinazione è cruciale dati i conflitti di interesse interpersonali. La preoccupazione per la coordinazione ci porta all'ultimo argomento di questo capitolo: la teoria del contratto sociale.

La teoria del contratto sociale

L'idea di base della teoria del contratto sociale in campo etico è che le regole etiche sono un sistema di limiti convenzionalmente stabiliti che ci imponiamo in accordo con i nostri interessi a lungo termine. Questo risponde a due domande fondamentali sulla moralità, cioè cosa è moralmente richiesto e perché dovremmo obbedire. Ciò che è moralmente richiesto è ciò che noi possiamo fare o su cui possiamo essere d'accordo in quanto persone che agiscono in modo razionale ed egoistico. Il motivo per cui dovremmo obbedire è perché siamo d'accordo nel farlo, o saremmo d'accordo se fossimo pienamente razionali. La teoria del contratto sociale condivide il presupposto fondamentale dell'egoismo che siamo agenti egoisti e razionali. Tuttavia, comprendendo che vivere insieme in una società richiede un insieme di regole per la cooperazione sociale, la teoria del contratto sociale fornisce una giustificazione del perché dovremmo coordinarci con gli altri. A differenza dell'egoismo che non può fornire una regolazione imparziale dei conflitti di interesse interpersonali, la teoria del contratto sociale fornisce non solo un modo per gestire i conflitti di interesse, ma anche una giustificazione per esso. Con ulteriori presupposti sulla natura umana, potremmo finire per seguire Thomas Hobbes o John Rawls. Ma entrambi concordano sul fatto che le regole morali sono essenzialmente convenzionali e vincolanti solo nella misura in cui servono i nostri interessi.

Se le regole morali e sociali sono convenzionali, come sarebbe la vita senza tali regole, e come si potrebbe stabilire una motivazione per definire e poi seguire tali regole? In particolare, dato che siamo egoisti, perché dovremmo accettare di obbedire a un insieme di regole che a volte limitano il nostro stesso interesse? Secondo Thomas Hobbes (1588-1679), lo stato naturale pre-politico dell'umanità, che egli immagina come "lo stato di natura", è una guerra di tutti contro tutti in cui la vita delle persone è "solitaria, povera, brutta, brutale e breve" (Hobbes [1651] 1996, 89). Questo quadro miserabile deriva dai seguenti presupposti empirici e normativi: i suoi presupposti empirici sono che le persone sono sufficientemente simili nelle loro facoltà fisiche e mentali e che nessuno è invulnerabile e tutti noi temiamo la morte (86-87, 90). I suoi presupposti normativi sono che ogni persona nello stato di natura ha la libertà di preservare la propria vita e il diritto di fare tutto ciò che secondo lui è necessario per la sopravvivenza; lo chiama "il diritto di natura". Non c'è alcun vincolo al diritto di natura; "ogni uomo ha diritto a tutto, anche al corpo dell'altro" (91). Dato che le risorse sono limitate e siamo tutti vulnerabili nell'esercizio dei nostri diritti di natura, Hobbes dipinge lo stato di natura come un inferno. Egli immagina quindi che cominciamo a creare convenzioni sociali basate sul vantaggio reciproco. Per esempio, anche se nello stato di natura non c'è nulla di intrinsecamente sbagliato nel fare del male all'altro, starei meglio astenendomi dal farlo se tutti gli altri facessero lo stesso. Si forma così una convenzione sociale contro le offese fisiche. Hobbes chiama tale convenzione "diritto di natura". La legge fondamentale della natura è "cercare la pace e seguirla", mentre il risultato dell'intera serie di leggi della natura è "quella legge del Vangelo: 'tutto ciò che volete che gli altri facciano a voi, voi fatelo a loro'" (92). In breve, la teoria del contratto sociale di Hobbes sostiene che i requisiti morali non sono altro che convenzioni sociali che noi, come agenti razionali e egoisti, concordiamo per la sopravvivenza. Dato che la vita di ognuno è vulnerabile nello stato di natura, è reciprocamente vantaggioso obbedire alla convenzione sociale.

Potreste chiedervi se la storia dello stato di natura di Hobbes sia mai accaduta. Quanto danneggerebbe la sua teoria morale la scoperta che nella storia le persone non si sono mai trovate in uno stato di natura? Alcuni adottano una strategia ipotetica, sostenendo che le persone si sarebbero accordate sulle leggi di natura se si fossero trovare nello stato di natura. Ma un accordo ipotetico non ha la forza di un accordo reale. Non posso pretendere che tu adempia all'accordo ipotetico di mantenermi finanziariamente per il resto della mia vita, anche se farlo sarebbe nel tuo interesse, perché non ci siamo effettivamente accordati su questo precedentemente. Per quanto posso vedere, il vero problema è se considerare i requisiti morali come convenzioni sociali, la cui osservanza è di reciproco vantaggio, ha abbastanza forza per assicurare che tutti obbediscano.

David Gauthier, un hobbesiano contemporaneo, sostiene che le convenzioni sociali concordate come requisiti morali derivano da un processo di contrattazione su convenzioni reciprocamente vantaggiose. Dato che le convenzioni sociali derivano dalla contrattazione, le persone che hanno il sopravvento hanno poco incentivo a produrre una convenzione equa per i deboli. C’è poco da guadagnare dalla cooperazione con i deboli e poco da temere dalla loro ritorsione. Anche se viene concordata una convenzione equa che si prende cura degli interessi dei deboli, ciò non garantisce che i forti obbediscano. Se è vantaggioso seguire una particolare convenzione dipende anche dal proprio potere contrattuale. Nella teoria di Gauthier, gli indifesi o le persone con disabilità "cadono al di là della soglia" della moralità (Gauthier 1986, 268). Vale a dire, i vincoli morali sorgono solo se le persone sono approssimativamente uguali in termini di potere. Se io fossi una persona con disabilità, sarei escluso dalla considerazione morale. Questo sembra riportarci ad una situazione vicina allo stato di natura di Hobbes, una situazione in cui il forte sfrutta il debole. Se i requisiti morali riguardano solo il forte che sfrutta il debole, non abbiamo nemmeno bisogno di chiamarli "requisiti" perché gli esseri umani agiscono facilmente, se non naturalmente, in questo modo.

Un'altra teoria contemporanea del contratto sociale — il contrattualismo kantiano — ha una prospettiva completamente diversa, anche se condivide lo stesso presupposto che siamo agenti razionali ed egoisti. Il contrattualismo kantiano basa il contratto sociale su un'uguaglianza naturale di status morale che cerca di considerare in modo imparziale gli interessi di ogni persona. Ha radici nella teoria morale di Immanuel Kant (1724-1807) (vedi capitolo 6) che considera ogni persona come "un fine in sé", con un valore morale intrinseco, e richiede che ogni persona agisca in accordo con norme personali universalizzabili (che Kant chiama "massime") quale membro della comunità (Kant [1785] 2006). Seguendo l'idea di Kant che il nostro status uguale (come fini in sé) ci richiede di agire in modo imparziale in una comunità, John Rawls (1921-2002) sviluppa una teoria del contratto sociale che risponde alla domanda: "Quali patti di cooperazione concorderebbero cittadini liberi e uguali in condizioni di equità?" Mentre il contratto sociale di Hobbes si basa sullo stato di natura, quello di Rawls si basa sulla "posizione originaria di uguaglianza" in cui le persone, in quanto esseri liberi ed uguali, stabiliscono collettivamente il contratto sociale su cui si accordano. Per evitare che il forte abbia un potere contrattuale dominante sul debole nel processo, come lo dipinge Gauthier, Rawls stabilisce che le persone nella posizione originaria facciano il contratto sotto un "velo di ignoranza", cioè senza avere idea dei loro talenti naturali e della loro posizione sociale. Poiché le persone non sono consapevoli di alcuna differenza naturale o sociale tra di loro, sono uguali e hanno maggiori probabilità di agire l'uno verso l'altro in modo non distorto e imparziale. Si noti che l'idea di Rawls della "posizione originale" non si riferisce a nessun evento storico reale. Piuttosto, è un espediente che ci aiuta a immaginare vividamente un punto di vista equo e imparziale, quando ragioniamo sui principi fondamentali della giustizia. Per massimizzare il proprio interesse in questa condizione, Rawls ritiene che le persone elaboreranno e sosterranno un contratto equo in modo imparziale. Se la disuguaglianza è inevitabile, deve essere giustificata a coloro che saranno svantaggiati, e forse anche soggetta al loro veto. Quindi, le persone vulnerabili non saranno escluse dal dominio della moralità come nel quadro di Gauthier. Rawls ritiene che le persone agiscono benevolmente se sono razionali, egoiste e dietro il velo dell'ignoranza. Così, la posizione originaria "rappresenta l'uguaglianza tra gli esseri umani come persone morali" (Rawls 1971, 190).

Conclusione

Benché sia difficile dimostrare che ognuno deve sempre agire per interesse personale, è probabilmente vero che abbiamo la tendenza ad agire per promuovere il nostro interesse. Il punto di partenza sia dell'egoismo che della teoria del contratto sociale è che siamo esseri egoisti e razionali. Tuttavia, basare la moralità sul solo interesse personale non ci porta lontano e addirittura sconfigge l'idea di moralità. Perché dovremmo continuare a seguire regole morali nei casi in cui seguirle non fosse di fatto nel nostro interesse personale? Una teoria del contratto sociale, che sia quella di Hobbes, di Gauthier o di Rawls, può ancora soffrire del dilemma del prigioniero in cui ognuno razionalmente agisce in modo egoistico anche quando ciò è dannoso per il bene di tutte le persone coinvolte 3. Per esempio, io e il mio compagno di stanza siamo d'accordo che è meglio se tutti aiutano a tenere pulito il posto. Per interesse personale, è razionale per ognuno di noi trovare qualche scusa per non pulire. Come risultato, nessuno di fatto mantiene l'accordo e la nostra casa è probabilmente nel caos. I requisiti morali basati sull'accordo, quindi, mancano ancora di forza sufficiente per assicurare che tutti, di fatto, si conformino. Perché dovremmo seguire norme che limitano le nostre scelte in certi casi? Nei capitoli precedenti, abbiamo visto che l'autorità delle norme culturali, le regole religiose e gli appelli alla natura non mostrano in modo conclusivo perché dovremmo seguire le regole. In questo capitolo abbiamo visto che anche l'appello all'interesse personale non è sufficiente a spiegare tali regole. Invece, abbiamo bisogno di derivare principi etici più oggettivi dalla ragione. L'idea kantiana di Rawls è un movimento verso principi etici oggettivi e imparziali. I capitoli seguenti esplorano altri filosofi che basano tali principi sulla ragione.

Referimenti bibliografici

White D., Szabo M., Tiliopoulos N., “Exploring the Relationship Between Narcissism and Extreme Altruism”, in The American Journal of Psychology 131(1), 2018, pp. 65-80.

Gauthier D., Morals by Agreement, Oxford University Press, Oxford 1986.

Hampton J. 1986. Hobbes and the Social Contract Tradition, Cambridge University Press, New York 1986.

Hobbes Th., Leviathan, a cura di Richard Tuck, Cambridge University Press, Cambridge (1651) 1996. Edizione italiana: Il leviatano, traduzione italiana di Raffaella Santi, testo inglese e latino, Bompiani, Milano 2001.

Kant I., Metafisica dei costumi, a cura di Giuseppe Landolfi Petrone, Bompiani, Milano [1785] 2006.

Rand A., The Virtue of Selfishness, Signet, New York 1964. Edizione italiana: La virtù dell'egoismo, Liberilibri, Macerata 2010.

Rawls J., A Theory of Justice, reissue ed. Harvard University Press, Cambridge, MA 1971. Edizione italiana: Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano 2008.

Smith A. , The Theory of Moral Sentiments, a cura di D. D. Raphael e A. L. Macfie, Oxford University Press, Oxford/New York (1759) 1976. Edizione italiana: Teoria dei sentimenti morali, a cura di Eugenio Lecaldano, Rizzoli, Milano 2001.

Stirner M., The Ego and Its Own, a cura di David Leopold, Cambridge University Press, Cambridge/New York 1995.

Stirner M., L'unico e la sua proprietà, a cura di Sossio Giametta, Bompiani, Milano [1844] 2018.

Vallentyne P., Contractarianism and Rational Choice, Cambridge University Press, Cambridge 1991.

Note

1 Si discute se quello di Max Stirner si possa considerare un egoismo psicologico. David Leopold, ad esempio, ritiene che non lo sia. (Si vedano gli argomenti di Leopold in Stirner 1995, xxiv–xxv). 
2 Bisogna notare che Smith non sostiene che la moralità sia basata sull'egoismo. Secondo Smith, le regole morali che stabiliscono ciò che è giusto fare o evitare non sono dettate dall'amore di sé (159). È lo "spettatore imparziale", non l'amore di sé, che ci mostra "l'opportunità di rinunciare ai nostri interessi più grandi per gli interessi ancora più grandi degli altri" (137). 
3 La critica di Jean Hampton ad Hobbes può valere anche per il contrattualismo contemporaneo. Ella dubita che avere un contratto sociale possa effettivamente funzionare come previsto. Supponiamo che la guerra di tutti contro tutti sia innescata dall'avidità o dalla paura; non c'è alcuna garanzia che una persona che era avida prima della stipula del contratto cesserà di essere avida dopo la stipula del contratto. Inoltre, la presenza di un contratto sociale sembra non garantire che possiamo essere completamente liberi dal dilemma del prigioniero. Cioè, dato che non vi è alcuna garanzia che un'altra persona manterrà la sua parte dell'accordo, è meglio per me non mantenere la mia parte dell'accordo. Non importa quanto sia dura la punizione che abbiamo istituito per un trasgressore del contratto, c'è sempre qualcuno che è disposto a correre il rischio. In breve, per Hampton è che tutto ciò che rendeva una persona incapace di collaborare prima della stipula di un contratto potrebbe persostere dopo la stipula del contratto. Un contrattualista non può garantirlo (Hampton, 1986). La risposta di Gauthier è che un contratto può evitare questo problema se i contraentii si rendono conto di trovarsi in un ambiente di individui che la pensano allo stesso modo (Gauthier 1986, 160-166). Si discute, tuttavia, se la risposta di Gauthier risolva davvero il problema (si veda Vallentyne 1991). 

Traduzione di Antonio Vigilante.