Femminismo ed etica femminista

Kimberlé Crenshaw. Foto: Mohamed Badarne, CC-BY-SA-4.0

Introduzione

Nel XVIII e XIX secolo, le prime scrittrici femministe 1, tra cui Mary Wollstonecraft (1759-1797), John Stuart Mill (1806-1873), Sojourner Truth (1797-1883), ed Elizabeth Cady Stanton (1815-1902), iniziarono ad affrontare argomenti relativi allo status politico, economico ed educativo delle donne, e alla "morale femminile" (Tong e Williams 2018). Questo fu in parte motivato da una crescente consapevolezza delle reali disuguaglianze tra uomini e donne, comprese le restrizioni e i divieti legali e sociali. Queste autrici sostenevano che le disparità nelle opportunità educative e le restrizioni legate alla razza e al genere dei ruoli e delle responsabilità aperte alle donne, impedivano loro di svilupparsi pienamente come persone e cittadine (Wollstonecraft [1792] 2004). Questa è stata la prima ondata del femminismo, e ha realizzato progressi significativi nell'emancipazione e nel riconoscimento dei diritti per le donne e le minoranze visibili in Occidente.

Nel ventesimo secolo, Betty Friedan (1921-2006) avrebbe constatato fenomeni simili tra le sue coetanee bianche istruite all'università negli Stati Uniti del 1950, che una volta tornate a casa diventavano casalinghe a tempo pieno. Friedan scrisse che questo gruppo di donne sembrava soffrire di una sorta di arresto, un'erosione delle loro capacità e un congelamento dello sviluppo personale, intellettuale e morale in uno stato infantile e immaturo (Friedan [1963] 1997). Va notato, tuttavia, che questa non era l'esperienza delle donne nere negli Stati Uniti, che spesso lavoravano fuori casa, in molti casi alle dipendenze di donne bianche, né l'esperienza delle donne della classe operaia di tutte le razze (Collins 1989). Tuttavia, le donne trovarono significativi punti in comune tra loro nella disparità dei diritti politici e lavorativi rispetto agli uomini nei loro gruppi sociali (Thompson 2002). Più o meno nello stesso periodo in Francia, Simone de Beauvoir (1908-1986) ha pubblicato il suo lavoro fondamentale esaminando la situazione delle donne nella società francese, descrivendo lo status di seconda classe delle donne, fondato sulle interpretazioni sociali e politiche delle differenze biologiche tra maschio e femmina (de Beauvoir [1949] 2016). Il lavoro di de Beauvoir, Friedan e molte altre ha stimolato il femminismo della seconda ondata tra le donne in Europa e Nord America, ed esse hanno iniziato a esaminare nuovamente le posizioni culturali, politiche e morali che occupavano. Le femministe della seconda ondata hanno concentrato i loro sforzi su questioni come i diritti riproduttivi, la violenza domestica e sessuale, il congedo di maternità pagato e la parità di retribuzione sul posto di lavoro.

Mentre le questioni che riguardano lo sviluppo politico e morale delle donne sono state a lungo una preoccupazione per le femministe della prima e della seconda ondata, è stato verso la fine della seconda ondata e l'inizio dell'attuale terza ondata (approssimativamente verso la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90), che le scrittrici hanno iniziato a pensare alla necessità di un'etica specificamente femminista. Fino a questo punto, le teorie morali (come la deontologia o il consequenzialismo) avevano largamente ignorato o erano rimaste ignare della prospettiva e delle esperienze specifiche delle donne, privilegiando le esperienze e le prospettive della posizione "universale" o "neutrale". Le femministe, tuttavia, hanno sottolineato che questa prospettiva "universale" era specificamente maschile e bianca. Alison Jaggar ha scritto che uno dei problemi dell'etica tradizionale dell'epoca era (e potenzialmente è ancora) che considera banali le questioni morali che sorgono nel cosiddetto mondo privato, il regno in cui le donne fanno i lavori domestici e si prendono cura dei bambini, delle persone malate o inferme e degli anziani. Nella sua formulazione della prospettiva "neutrale", l'etica tradizionale è stata accusata di favorire modi "maschili" di ragionamento morale che enfatizzano regole, diritti, universalità e imparzialità rispetto a modi "femminili" di ragionamento morale che enfatizzano relazioni, responsabilità, particolarità e parzialità. Inoltre, Jaggar sottolinea che l'etica tradizionale ha sottovalutato tratti culturalmente femminili come "interdipendenza, comunità, connessione, condivisione, emozione, corpo, fiducia, assenza di gerarchia, natura, immanenza, processo, gioia, pace e vita" (Jaggar 1992, 363-364).

Un'etica che prestasse particolare attenzione a queste virtù, principi, valori, prospettive e modi di conoscere tradizionalmente sottovalutati era dunque necessaria per fornire una piena comprensione delle esperienze umane e della vita morale. Nella terza ondata, le femministe cominciarono a criticare e a discutere i vari limiti della seconda ondata, inclusa la sua marginalizzazione delle voci e delle prospettive delle donne di razze, etnie, identità sessuali e posizioni socio-economiche oppresse (Combahee River Collective 1977; Mohanty, Torres e Russo 1991). Un'etica femminista che prestasse attenzione a queste diverse identità e prospettive divenne centrale per prendere sul serio le vite e le esperienze delle donne e per eliminare l'oppressione delle donne, delle minoranze sessuali e di altri gruppi oppressi. Jaggar ha inquadrato l'etica femminista come la creazione di un'etica di genere che mira ad eliminare o almeno a migliorare l'oppressione di qualsiasi gruppo di persone, ma in particolare delle donne.

L'etica della cura

L'etica della cura, come è conosciuta ora, è una prima etica femminista nata dalle reazioni ai popolari resoconti psicoanalitici dello sviluppo maschile e femminile nella metà del ventesimo secolo, e dalla messa in discussione dei ruoli delle donne nella società. Questa etica è partita da studi osservazionali in psicologia e in seguito è diventata una proposta normativa positiva del comportamento morale. Le prime formulazioni dell'etica della cura sono state criticate sia dalle teoriche femministe che dai filosofi che lavorano in altre tradizioni morali. Le obiezioni a queste prime formulazioni sono importanti e hanno portato a sviluppi utili e interessanti. L'etica della cura è progredita come teoria normativa, ma ha forse dato il suo più forte contributo come metaetica, una posizione da cui iniziare il nostro ragionamento morale, piuttosto che come strumento da usare per risolvere particolari casi morali o dilemmi.

La prima formulazione

Nella sua analisi psicologica del processo decisionale morale delle donne negli anni '80, nell'opera In a Different Voice, Carol Gilligan sosteneva di aver trovato una differenza nel modo in cui uomini e donne percepivano i problemi morali. Mentre gli uomini si concentravano sulla giustizia e sui diritti, le donne erano più propense a pensare alle relazioni nel prendere decisioni morali. Esaminando la questione dell'aborto, Gilligan ha scritto,

La costruzione del problema morale da parte delle donne come un problema di cura e responsabilità nelle relazioni piuttosto che come un problema di diritti e regole lega lo sviluppo del loro pensiero morale ai cambiamenti nella loro comprensione della responsabilità e delle relazioni... La logica sottostante un'etica della cura è una logica psicologica delle relazioni, che contrasta con la logica formale dell'equità che informa l'approccio della giustizia. (Gilligan 1982, 73)

Per Gilligan questa etica della cura particolare per le donne si sviluppa in tre fasi. In un primo momento una donna si concentra sulla cura del sé per assicurare la sopravvivenza. Segue una fase di transizione in cui questo modo di pensare al sé come primario è criticato come egoista. Dopo questa fase critica, una nuova comprensione delle connessioni tra il proprio sé e gli altri porta allo sviluppo del concetto di responsabilità. Gilligan ha scritto che questo concetto di responsabilità è fuso con una "moralità materna", che si concentra nel garantire la cura delle persone dipendenti e diseguali nella propria cerchia. In questa fase il bene è definito in termini di cura degli altri. Tuttavia, continua Gilligan, un'eccessiva concentrazione sugli altri in questa seconda fase dello sviluppo morale porta a uno squilibrio di attenzione, il che significa che una donna deve riconsiderare l'equilibrio tra il sacrificio di sé e i tipi di cura inclusi nelle idee convenzionali di bontà femminile. La terza fase, quindi, è quella che bilancia il sé con gli altri, e si concentra sulle relazioni e su una nuova comprensione delle connessioni tra il sé e gli altri. L'intuizione centrale di questa etica della cura, scrive Gilligan, è che il sé e gli altri sono interdipendenti (Gilligan 1982).

Qualche anno dopo Gilligan, Nel Noddings ha pubblicato Caring: A Feminine Approach to Ethics and Moral Education, che ha fornito un'analisi più profonda delle persone — chi fornisce la cura e chi la riceve — e dei processi coinvolti nella cura. In questo libro Noddings ha sostenuto che la moralità richiede che una persona abbia due emozioni. La prima di queste emozioni è un sentimento di "cura naturale". Noddings descrive questa cura come pre-etica; la cura che una madre ha per il suo bambino o un animale femmina per la sua prole sono ugualmente esempi di questa cura naturale. Come ha sostenuto anche Gilligan, Noddings afferma che la preoccupazione per gli altri, o il riconoscimento della preoccupazione degli altri per noi, dà origine a un conflitto tra rispondere ai bisogni degli altri e prendersi cura dei propri bisogni. Questo conflitto dà origine, a sua volta, all'opportunità di una "cura etica", o di rispondere al riconoscimento che un altro possiede dei bisogni, e che noi siamo nella posizione di soddisfare questi bisogni, riconoscendo inoltre che questa situazione avanza una richiesta morale su di noi. Tuttavia in molti casi possiamo riconoscere e rispondere ai bisogni di un altro per mezzo della cura naturale, una disposizione a prendersi cura dell'altro che sorge spontaneamente in noi, piuttosto che per mezzo della cura etica, che interviene solo se la cura naturale ha fallito. La cura naturale è pertanto preferibile alla cura etica, secondo Noddings (Noddings 1984).

Obiezioni

Sono state sollevate diverse obiezioni alle formulazioni di Gilligan e Noddings di un'etica della cura, all'interno della psicologia, della teoria morale e del pensiero femminista. Tra quelle sollevate dalle femministe, le obiezioni più forti si concentrano sul rischio di "essenzializzare" la relazione di cura. Questa obiezione afferma che l'etica della cura può ridurre la relazione di cura a caratteristiche essenziali che sono poi collegate alla "natura della donna" in un modo che richiama e rinforza gli stereotipi basati sul genere (per esempio, le donne sono più sensibili e premurose degli uomini). Queste obiezioni sottolineano che anche se le donne sono (per ragioni sociali, culturali, biologiche o interconnesse) più brave a fornire o dare assistenza rispetto agli uomini, potrebbe comunque essere "epistemicamente, eticamente e politicamente imprudente associare le donne al valore della cura" (Tong e Williams 2018). La preoccupazione è che collegare intimamente le donne con la cura possa "promuovere l'opinione che le donne siano incaricate della cura o, peggio, che poiché le donne possono curare, esse dovrebbero curare a prescindere dal costo per sé stesse" (Tong e Williams 2018; enfasi aggiunta).

Da una prospettiva femminista di ispirazione marxista, Sandra Lee Bartky (1935-2016) sviluppa questa preoccupazione nel suo libro del 1990, Feminity and Domination. Bartky sostiene che, piuttosto che fornire alle donne un ruolo apprezzato e stimato in un mondo di uomini, le attività delle donne nel "costruire l'ego degli uomini e curare le loro ferire" in ultima analisi toglie potere alle donne (Tong e Williams 2018). L'autrice sostiene che il tipo di lavoro affettivo (lavoro che coinvolge significativamente l'avere o mostrare certe emozioni) intrapreso dalle donne nel fornire assistenza a una famiglia, e in alcune occupazioni orientate ai servizi, le porta a disconnettersi dalle proprie emozioni e sentimenti di base. Nelle occupazioni di servizio, come essere un assistente di volo, Bartky dice che il dipendente deve portare sullo sfondo i propri sentimenti ed essere gentile (per esempio) indipendentemente dal comportamento del cliente. Questo tipo di lavoro emotivo rischia di offuscare la distinzione tra i "reali" sentimenti amichevoli e gentili e i sentimenti "inautentici" che sono generati dall'obbligo occupazionale di essere amichevole e gentile.

In casa succede qualcosa di simile. Bartky scrive che molte mogli e madri dicono che l'esperienza di prendersi cura dei loro mariti e figli, anche quando è difficile, fornisce alle loro vite appagamento e significato. Più si prendono cura, più si vedono come il collante della famiglia che tiene tutto insieme per tutti gli altri (Tong e Williams 2018). Ma, e questo è importante per Bartky, questa sensazione soggettiva di acquisizione di potere non è la stessa cosa che avere effettivamente potere. In famiglia una donna non ha potere se è obbligata ad assumere questi ruoli di cura e, come l'assistente di volo, a forzare i propri sentimenti verso il basso quando non corrispondono al comportamento atteso di una buona moglie o madre. Così, come nelle situazioni lavorative, il lavoro emotivo richiesto all'interno della famiglia rischia di offuscare la distinzione tra i reali sentimenti di cura e soddisfazione di una donna e i sentimenti che sono generati dal suo senso di obbligo e di ciò che significa svolgere correttamente il suo ruolo.

Nel lavoro e nella famiglia, lo sfruttamento emotivo di una donna è strettamente legato alla sua oppressione economica e materiale. Femministe di ispirazione marxista, come Ann Ferguson, hanno sostenuto che lo svantaggio economico all'interno della famiglia è analogo allo sfruttamento capitalista dei lavoratori. Ferguson analizza la "divisione sessuale del lavoro" all'interno di una famiglia, in cui le donne sono responsabili della produzione di quattro categorie principali di beni: i bambini, il mantenimento della casa, la cura (dei bambini e degli uomini) e il sesso (Ferguson 1991). Alle donne e alle ragazze viene insegnato a essere orgogliose e soddisfatte della produzione di questi beni, mentre gli uomini imparano che si tratta di lavoro femminile, e quindi non di loro responsabilità. Allo stesso tempo, la produzione di questi beni è svalutata, e il desiderio di fare questo lavoro è collegato all'idea di "essere una donna". Così, il lavoro legato alla produzione di queste cose è in gran parte non riconosciuto. Bartky sostiene che nel fornire queste cure al marito o ai figli, una donna viene sfruttata in modo tale che la sua famiglia ne tragga beneficio e soddisfi i propri interessi mentre lei subisce un danno ai propri interessi. In modo simile, Sheila Mullet sostiene che quando le condizioni materiali di oppressione appaiono all'interno di una famiglia, si impedisce la formazione di vere relazioni di cura. Una donna non è in grado di prendersi veramente cura di qualcuno se è costretta economicamente, socialmente o psicologicamente a farlo (Mullet 1988). Così, la vera cura non può avvenire in condizioni caratterizzate da dominazione e subordinazione. Solo se le donne sono pienamente uguali agli uomini, possono assumersi il lavoro emotivo della cura senza temere che gli uomini approfittino del loro lavoro.

Risposte e sviluppi

L'etica della cura ha continuato a progredire negli ultimi anni, in parte rispondendo alle obiezioni di vari pensatrici femministe e non; essa ha dato un contributo importante e prezioso nel mettere in evidenza che le persone sono necessariamente esseri interconnessi. L'importanza della cura per la moralità e lo sviluppo personale ha dato origine a teorie che incorporano concezioni relazionali e intersezionali di vari valori etici, che saranno discusse di seguito.

Un certo numero di autrici, come Virginia Held ed Eva Feder Kittay, hanno continuato a sviluppare l'etica della cura sia come teoria morale che come una sorta di quadro metaetico, dal quale si possono derivare obblighi etici e nel quale si possono fondare certi principi e valori morali. Ci sono tre impegni teorici fondamentali nell'etica della cura che si sono affermati tra le teoricche della cura (Sander-Staudt 2017). In primo luogo, le persone sono intese come aventi diversi gradi di dipendenza e interdipendenza. Di questo si dirà di più nella sezione seguente. Questa prospettiva nell'etica della cura contrasta con le teorie morali deontologiche e consequenzialiste che spesso vedono le persone come aventi interessi indipendenti. In secondo luogo, l'etica della cura sostiene che chiunque sia particolarmente vulnerabile rispetto alle scelte di qualcuno e alle sue conseguenze merita una considerazione extra quando si prendono decisioni. In terzo luogo, i dettagli contestuali delle situazioni devono far parte del processo decisionale, al fine di salvaguardare e promuovere gli interessi reali delle persone coinvolte.

Inoltre, in linea con alcune delle prime opinioni di Noddings, Held e Kittay hanno sostenuto che il principio di giustizia può essere fondato sulla cura. Held ha sostenuto che mentre la cura può esistere senza giustizia, come può accadere all'interno di relazioni familiari ingiuste, la giustizia non può esistere senza cura. Affinché un sentore di giustizia prenda forma nella nostra mente, dobbiamo prima esprimere preoccupazione per la condizione di un altro, e questa è un'espressione di cura. Quindi, la cura è "assolutamente fondamentale", forse un proto-valore etico, che motiva ogni ulteriore sentimento morale (Held 2005, 17; Tong e Williams 2018). Nel criticare le formulazioni rawlsiane della giustizia come equità, Kittay ha sostenuto che le relazioni di dipendenza caratterizzate dalla cura sono una parte così fondamentale della vita umana che qualsiasi teoria della giustizia che le lasci fuori non può realizzare una società giusta o equa. Dato che ogni persona sperimenterà la dipendenza da qualcuno che si assume la responsabilità di prendersi cura di lei in episodi prolungati e significativi nel corso della sua vita, tali relazioni e lo spostamento di potere, lavoro e interessi che avviene al loro interno, devono essere presi in considerazione da qualsiasi teoria che tenti di formare una distribuzione equa di benefici e beni nella società. Un'etica della cura, quindi, deve essere centrale nelle formulazioni della giustizia (Kittay 1997).

Inoltre, Held vede l'etica della cura come una teoria morale normativa, qualcosa che può fornire strumenti robusti per determinare risultati moralmente buoni in specifici dilemmi o sfide. Negando l'appello a principi morali universali, valorizzando le risposte emotive e guardando alle relazioni specifiche che abbiamo con quegli "altri particolari per i quali ci assumiamo la responsabilità", Held sostiene che l'etica della cura può fornire risposte su cosa dovremmo fare in situazioni specifiche (Held 2005, 10).

Tuttavia, anche i teorici morali che non sottoscrivono esplicitamente un'etica della cura possono riconoscere il contributo metaetico che essa offre alla nostra comprensione dell'interazione umana e della vita morale. Il primo dei tre impegni teorici dell'etica della cura, secondo cui gli esseri umani sono essenzialmente esseri sociali e interconnessi con vari gradi di indipendenza, e non il tipo di entità che nasce interamente in grado di sostenersi da sola o di svilupparsi pienamente in assenza di relazioni sociali caratterizzate da interdipendenza e cura, ha avuto un'influenza significativa sullo sviluppo delle teorie relazionali dell'identità e dell'agency, come vedremo più avanti. Le nozioni metaetiche alla base dell'etica della cura si sono radicate nella comprensione femminista della psicologia morale, dell'autonomia personale, dei diritti e della responsabilità.

Teoria relazionale

Una metaetica della cura fornisce lo sfondo per un gruppo di idee chiamate talvolta "teoria relazionale". Qui discuteremo in particolare quelle dell'autonomia e dell'identità relazionale. Natalie Stoljar scrive che il termine "relazionale" comporta una rivendicazione metafisica, negando una concezione "atomistica" della persona e "sottolineando invece che gli agenti sono socialmente e storicamente incorporati, non metafisicamente isolati, e sono, inoltre, modellati da fattori come razza e classe" (Stoljar 2015). Le intuizioni fornite dalle prime formulazioni dell'etica della cura forniscono una parte del punto di partenza metafisico e metaetico per concepire le persone come sempre e inevitabilmente interconnesse. In altre parole, le intuizioni dell'etica della cura forniscono concetti fondamentali per un'interpretazione della realtà e di ciò che le nostre teorie morali dovrebbero prendere in considerazione. Le relazioni interpersonali e di gruppo sono una caratteristica importante del mondo, e di conseguenza devono costituire una parte importante della nostra teorizzazione morale.

Autonomia

Riferendosi all'autonomia, Stoljar scrive che il termine "relazionale" può servire a negare che l'autonomia richieda l'autosufficienza, come era stato tradizionalmente formulato. Nella maggior parte delle formulazioni pre-femministe dell'autonomia, specialmente dopo lo sviluppo da parte di vari studiosi della teoria di Immanuel Kant, un modello di ragionamento freddo e distaccato, incurante degli impegni personali o familiari, divenne un requisito di un processo decisionale indipendente. Tuttavia, questo modo di pensare all'autonomia è problematico perché, in base a tali requisiti, si deve riconoscere che nessuna persona soddisfa pienamente i criteri, oppure ignorare deliberatamente che la capacità di ogni persona di essere indipendente è facilitata dall'assistenza continua fornita da altri. Se ci allontaniamo da questa idea di cosa significhi l'autonomia e riconosciamo che le relazioni di cura e interdipendenza sono preziose e moralmente significative, allora, come sostiene Stoljar, qualsiasi teoria utile dell'autonomia deve almeno "essere 'relazionale' nel senso che deve riconoscere che l'autonomia è compatibile con un agente che sia immerso e valorizzi la famiglia e le altre relazioni sociali significative" (Stoljar 2015).

In risposta, molti teorici che lavorano su questioni di agency 2, teoria della decisione ed etica, tra le altre aree, hanno adottato una concezione relazionale dell'autonomia (Christman 1991; Westlund 2009; Benson 1991). Le teorie relazionali dell'autonomia iniziano generalmente con il riconoscimento minimo del fatto che cominciamo la nostra vita come esseri non autonomi, come neonati, e ci sviluppiamo gradualmente in esseri autonomi man mano che impariamo vari gruppi di competenze e acquisiamo abilità specifiche fondamentali per prendere le nostre decisioni, da quelle banali a quelle importanti. Molte teorie relazionali dell'autonomia tengono anche conto del fatto che la nostra autonomia è influenzata dal processo di socializzazione (Benson 1991; Meyers 1987), o può essere sospesa in vari momenti della nostra vita. Per esempio, possiamo ammalarci gravemente e diventare relativamente molto più dipendenti dagli altri per la durata della malattia. Possiamo anche diventare meno autonomi quando entriamo negli ultimi decenni della vita. L'autonomia, quindi, può essere una questione di gradi o fasi della vita (Meyers 1987; Friedman 1997). Le teorie relazionali dell'autonomia possono rendere conto di questi fatti dell'esistenza umana, considerando l'importanza delle nostre relazioni strette nel facilitare il processo decisionale e il raggiungimento di una vita buona e soddisfacente.

Identità

L'identità relazionale è un'altra prospettiva teorica riguardante lo sviluppo e l'esperienza umana metaeticamente informata dalla cura e dal riconoscimento dell'intersezionalità: le diverse identità, intrecciate tra loro, che le persone possiedono. L'intersezionalità è stata concettualizzata da Kimberlé Crenshaw riflettendo sull'identità delle donne nere, che si forma all'interno di strutture gerarchiche di potere sia di genere che di razza (così come di classe, orientamento sessuale, abilità, e così via) (Crenshaw 1989; 1991). Crenshaw sosteneva che le persone con più di una di queste identità erano ulteriormente marginalizzate nei movimenti politici o sociali che sono orientati intorno a questioni "monoassiali", per esempio esclusivamente la razza o esclusivamente il genere. Il lavoro di Crenshaw è politicamente importante, e importante per un'etica femminista che cerca, come ha detto Jaggar, di elaborare una teoria per tutte le persone oppresse e specialmente per le donne. L'accettazione dell'intersezionalità ha portato al riconoscimento che le persone sono complesse e possono sperimentare simultaneamente ambiti della loro identità che sono privilegiati mentre altri ambiti della loro identità sono oppressi. Un'etica femminista deve partire dal riconoscimento di queste dinamiche intersecanti di potere all'interno e tra le singole donne e i gruppi sociali.

Françoise Baylis e Margaret Urban Walker hanno sostenuto, separatamente l'una dall'altra, che la formazione del sé e dell'identità personale sono processi sociali continui, che avvengono con altre persone e con i sistemi che ci circondano. Baylis scrive che, poiché le persone sono esseri interdipendenti, l'identità di una persona, "inclusi i suoi tratti, desideri, credenze, valori, emozioni, intenzioni, ricordi, azioni ed esperienze", è informata dalle sue relazioni, che hanno vari gradi e tipi di intimità e interdipendenza (Baylis 2011, 109). Le interazioni pubbliche e private di una persona aiutano a strutturare la sua percezione di se stessa e a definire il suo posto nel mondo.

Per i teorici dell'identità relazionale, una persona è costituita in modo importante dalle relazioni e dalle interazioni che ha. Baylis scrive che l'identità di una persona esiste negli "spazi negoziati tra la mia biologia e psicologia e quella degli altri", formando un "equilibrio tra l'auto-attribuzione e l'attribuzione degli altri" (Baylis 2011, 110). Alcune parti di me possono sembrare create da me o forse erano "sempre lì", nel senso che potrei non essere in grado di identificare facilmente la fonte di influenza che le ha formate, ma tutte le parti di me sono (in)formate dalle interazioni con il mondo sociale e politico. Questo modo di concettualizzare l'identità presta attenzione al fatto che da neonati entriamo in un mondo già pieno di significato. I particolari significati legati ai nostri corpi (riguardo, per esempio, al colore della pelle, al sesso biologico o all'abilità fisica) e a certe caratteristiche personali (come l'espressione di genere o l'identità sessuale) ci precedono nello spazio e nel tempo. Come scrive Walker, donne e uomini in situazioni di oppressione o subordinazione possono trovarsi soggetti a narrazioni socialmente normative sulle loro identità, che sono coercitive e svantaggiose (Walker 1997). Queste narrazioni esistono nel mondo in cui una persona nasce e cresce, influenzando molti aspetti della sua formazione ed espressione identitaria. Il riconoscimento del fatto che esistiamo sempre e solo all'interno di tali narrazioni e di relazioni interpersonali di vario tipo costituisce quindi lo sfondo per le teorie relazionali della formazione e del mantenimento dell'identità.

Conclusione

Lo sviluppo dell'etica femminista è nato dal riconoscimento che le esperienze e le prospettive di alcuni gruppi nella società, comprese le persone di razza o etnia minoritaria, le persone con disabilità, le persone di livelli socio-economici più bassi e le donne, così come le persone le cui identità attraversano in vari modi questi raggruppamenti, sono state ignorate o svalutate dall'etica tradizionale o tradizionale, e da allora ha cercato di rimediare a questo insieme ad altri movimenti anti-oppressione. In una metaetica della cura, l'interdipendenza degli esseri umani è considerata una caratteristica abilitante e necessaria della vita, piuttosto che come qualcosa da scrollarsi di dosso per raggiungere la massima indipendenza di pensiero o di sentimento. Riconoscendo che l'"indipendenza" è solo uno stato relativo, e che tutti noi siamo, in vari gradi e in diverse fasi della vita, dipendenti dagli altri per la cura e la sopravvivenza, le etiche femministe hanno ottenuto una revisione nel modo in cui sono concepiti importanti concetti morali, come l'autonomia e l'identità personale. Il fatto che molto lavoro di cura sia ancora sottovalutato o svalorizzato, che la sua esecuzione ricada spesso ancora sulle donne all'interno delle famiglie e sproporzionatamente sulle donne appartenenti a gruppi minoritari nella forza lavoro, e che le donne affrontino ancora svantaggi economici rispetto agli uomini all'interno dei loro gruppi sociali e culturali, rimane una sfida per le femministe etiche e le filosofe politiche.

Riferimenti bibliografici

Bartky S. L., Femininity and Domination: Studies in the Phenomenology of Oppression, Routledge, New York 1990.

Baylis F., “The Self in Situ: A Relational Account of Personal Identity”, in Being Relational: Reflections on Relational Theory and Health Law, a cura di Jocelyn G. Downie and Jennifer Llewellyn, pp. 109-131, University of British Columbia Press, Vancouver 2011.

de Beauvoir S., Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano (1949) 2016.

Benson P., “Autonomy and Oppressive Socialisation”, in Social Theory and Practice 17(3), 1991, pp. 385-408.

Christman J., “Autonomy and Personal History”, in Canadian Journal of Philosophy 21(1), 1991, pp. 1-24.

Collins P. H., “The Social Construction of Black Feminist Thought”, in Signs 14(4), 1989, pp. 745-773.

Combahee River Collective, “The Combahee River Collective Statement”, 1977. Url: https://combaheerivercollective.weebly.com/the-combahee-river-collective-statement.html.

Crenshaw K., “Demarginalizing the Intersection of Race and Sex: A Black Feminist Critique of Antidiscrimination Doctrine, Feminist Theory and Antiracist Politics”, in University of Chicago Legal Forum 1989(1), pp. 139-167.

Crenshaw K. ,“Mapping the Margins: Intersectionality, Identity Politics, and Violence against Women of Color”, in Stanford Law Review (43)6, 1991, pp.1241-1299.

Ferguson A., Sexual Democracy: Women, Oppression, and Revolution, Westview Press, Boulder, CO 1991.

Friedan B., The Feminine Mystique, W.W. Norton & Company, New York/London (1963) 1997.

Friedman M., “Autonomy and Social Relationships: Rethinking the Feminist Critique”, in Feminists Rethink the Self, a cura di Diana T. Meyers, 1997, pp. 40-61.

Gilligan C., In A Different Voice: Psychological Theory and Women’s Development, Harvard University Press, Cambridge, MA 1982.

Held V., The Ethics of Care: Personal, Political, and Global, Oxford University Press, Oxford/New York 2005.

Jaggar A. M., “Feminist Ethics”, in Encyclopedia of Ethics, a cura di Lawrence Becker and Charlotte Becker, Garland Press, New York 1992.

Kittay E. F., “Human Dependency and Rawlsian Equality”, in Feminists Rethink the Self, a cura di Diana T. Meyers, 1997, pp. 219-266.

Meyers D. T., Feminists Rethink the Self, Westview Press, Boulder, CO 1997.

Meyers D. T., “Personal Autonomy and the Paradox of Feminine Socialization”, in Journal of Philosophy 84(11), 1987, pp. 619-628.

Mohanty C. T., Torres L., Russo A., Third World Women and the Politics of Feminism, Indiana University Press, Bllomington, IN 1991.

Mullet S., “Shifting Perspectives: A New Approach to Ethics.” In Feminist Perspectives: Philosophical Essays on Method and Morals, a cura di Lorraine Code, Sheila Mullet e Christine Overall, University of Toronto Press, Toronto/London 1988.

Noddings N., Caring: A Feminine Approach to Ethics and Moral Education, University of California Press, Berkeley, CA 1984.

Sander-Staudt M., “Care Ethics”, in Internet Encyclopedia of Philosophy, settembre 2019. Url: http://www.iep.utm.edu/care-eth/

Stoljar N. 2015. “Feminist Perspectives on Autonomy”, in The Stanford Encyclopedia of Philosophy, a cura di Edward N. Zalta, 2015. Url: https://plato.stanford.edu/archives/fall2015/entries/feminism-autonomy/

Thompson B., “Multiracial Feminism: Recasting the Chronology of Second Wave Feminism”, in Feminist Studies 28(2), 2002, pp. 336-360.

Tong R., Williams N., “Feminist Ethics”, in The Stanford Encyclopedia of Philosophy, a cura di Edward N. Zalta, 2018. Url: https://plato.stanford.edu/archives/win2018/entries/feminism-ethics/

Walker M. U., “Picking Up Pieces: Lives, Stories, and Integrity”, in Feminists Rethink the Self, a cura di Diana T. Meyers, 1997, pp. 62-84.

Westlund A., “Rethinking Relational Autonomy”, in Hypatia 24(4), 2009, pp. 26-49.

Wollstonecraft M. A Vindication of the Rights of Woman, a cura di Miriam Brody, Penguin, London/New York (1792) 2004.

Altre letture

Bubeck D. E., Care, Gender, and Justice, Clarendon Press, Oxford 1995.

Firestone S., The Dialectics of SexThe Case for Feminist Revolution. London: Verso Books, London (1970) 2015.

hooks b., Feminism is for Everybody: Passionate Politics, South End Press, Cambridge, MA 2000.

Kittay E. F., Love’s Labor: Essays on Women, Equality and Dependency, Routledge, New York 1999.

Lorde A., Sister Outsider: Essays and Speeches, Crossing Press, Berkeley, CA (1984) 2007.

Mackenzie C., Stoljar N., Relational Autonomy: Feminist Perspectives on Autonomy, Agency, and the Social Self, Oxford University Press, New York 2000.

Mill J. S. 1869. The Subjection of Women, seconda edizione, Longmans, Green, Reader & Dyer, London1869.

Slote M., The Ethics of Care and Empathy, London/New York: Routledge, London/New York 2007.

Stanton E. C., Eighty Years and More: Reminiscences 1815-1897, Northeastern University Press, Boston (1898) 1993.

Steinem G., Outrageous Acts and Everyday Rebellions, seconda edizione, H. Holt, New York 1995.

Truth S., “The Words of Truth”, a cura di Mary G. Butler, in Heritage Battle Creek: A Journal of Local History, 8.

Note

1 Qui ed oltre nella traduzione ho fatto ricorso al femminile sovraesteso. [N.d.T.] 
2 Con in termine agency si intende in sociologia si intende la capacità dei soggetti di agire in modo autonomo, di prendere decisioni e di realizzare il proprio potenziale. (N.d.T.)