Varuna. India, Rajasthan, Bundi. Pubblico dominio.

Indice

La composizione

Per gli indiani i Veda (वेद) non sono un'opera umana, ma manifestazione eterna del Divino; i testi che lo compongono sono stati semplicemente uditi dagli antichi ṛṣi (veggenti) e tramandati oralmente per generazioni prima di essere fissati nella scrittura (probabilmente non prima del II secolo a.C.). Anche la lingua nella quale sono stati scritti, il sanscrito, ha per gli indiani un valore sacro: non è una lingua di uso comune, ma la lingua della casta sacerdotale, adatta alle pratiche religiose e spirituali, come anche alla speculazione filosofica che su di esse si innesta. La loro composizione è legata all'arrivo in India degli Arii dall'attuale Afghanistan, ma la datazione precisa è oggetto di discussione tra gli studiosi, con proposte che vanno dal terzo millennio al quinto secolo avanti Cristo. Il nucleo più antico dei Veda è rappresentato dalle Saṃhitā, raccolte di inni sacri, intorno alle quali si sono andati raccogliendo nei secoli altri testi, tra cui le i Brāhmaṇa e le Upaniṣad. La più importante e antica raccolta di inni è quella del Ṛgveda, che comprende più di mille inni. Gli altri Veda sono il il Sāmaveda, contenenti formule sacrificali, lo Yajurveda, raccolta di testi contati durante il sacrificio e l'Atharvaveda, contenenti formule riguardanti riti minori legati alla vita quotidiana.

Il sacrificio

La visione del mondo dei Veda è estremamente complessa e stratificata. Al centro del sistema religioso e della società c'è il sacrificio (yajña), una pratica che è elemento di coesione sociale, evocazione dei suoi valori fondanti e momento di unione dell'umano con il divino. Il sacrificio può essere comunitario o domestico. Quello comunitario, amministrato dai sacerdoti, ha una sua particolare complessità rituale e richiede la precisa recitazione di versi dei Veda. Tra i diversi tipi di sacrificio importanza particolare hanno quello del fuoco (agni) e quello del soma, una sostanza non identificata, di origine vegetale, che aveva l'effetto di suscitare visioni. Durante il rituale il liquido viene spremuto e fatto filtrare in un recipiente contenente acqua consacrata, quindi è bevuto dai brāhmaṇi e offerto al sacrificante. Bevendo il soma si è assimilati alla condizione divina, partecipando dunque della loro stessa condizione di immortalità.

La pratica del sacrificio richiede un numero di specialisti con competenze diverse, che conoscano le complesse dinamiche del rituale e siano in grado di recitare gli inni o di cantarli. Essi appartengono tutti alla casta dei brāhmaṇi, la più elevata, il cui compito è quello di legare costantemente, attraverso la perfezione del rituale, la società umana con quella divina e con l'ordine cosmico.

La visione del divino

Nei Veda si esprime un pantheon estremamente complesso, una molteplicità di dei (deva) le cui funzioni non sembrano essere ben distinte e spesso si sovrappongono. Nei Veda i deva sono definiti anche asura, ma in seguito questo termine passa ad indicare una classe di divinità caratterizzate dalla negatività e dalla menzogna; con il tempo diventeranno dei semplici demoni, mentre sul piano sociale saranno associati ai popoli autoctoni dell'India, soggiogati dagli arii.

Benché ogni inno presenti la divinità cui è dedicato come superiore ad ogni altra (fenomeno che gli studiosi chiamano enoteismo), alcune figure divine emergono. Tra queste quella di Indra, dio guerriero, signore della folgore e legato al soma, da cui lui stesso trae forza. Secondo il mito vedico l'instaurazione dell'universo che conosciamo è dovuta alla lotta di Indra contro Vṛtra, il serpente cosmico che teneva imprigionate le acque impedendo il manifestarsi del cosmo. Indra lo uccide consentendo così al mondo di manifestarsi.

Centrale è anche la figura di Agni, divinità del fuoco (si pensi al latino ignis), associato dunque al fuoco sacrificale e considerato mediatore tra il mondo umano e quello divino, proprio per il suo ruolo nel sacrificio: è Agni che conduce ai deva il cibo sacrificale. Come divinità del calore è inoltre legato, oltre che al sesso, alla particolare energia che i saggi sviluppano attraverso le pratiche ascetiche e contemplative (il tapas).

Una divinità dal carattere inequivocabilmente etico è Varuṇa, che osserva l'agire degli uomini e interviene per punire chi compie il male e che custodisce l'ordine dell'universo. Importanza secondaria ha invece nei Veda Viṣṇu, che nell'epoca post-vedica diventerà sarà invece, insieme a Brahmā e Śiva, la figura centrale del pantheon indiano.

Vāc

Una trattazione a parte medita Vāc, divinità femminile che personifica la Parola e il suo potere. A differenza delle altre divinità Vāc non ha alcuna raffigurazione fisica e non è legata ad alcun mito, anche se nel periodo post-vedico sarà identificata con la dea Sarasvatī. La sapienza vedica, come abbiamo visto, veniva trasmessa oralmente: il testo vedico non veniva letto, ma ascoltato. La conoscenza sacra dei Veda è nota come Śrūti, termine che in sanscrito significa "ascoltato". Vāc rappresenta dunque il potere della Parola stessa dei Veda, ossia della parola che trasmette la conoscenza sacra. Ma non solo: la parola racchiude in sé l'universo intero. Questo è in particolare il valore della sillaba sacra Ōṃ, i cui tre suoni costitutivi - a, u e - rappresentano i tre momenti del ciclo cosmico: la creazione, lo sviluppo e il riassorbimento. Pronunciando la sillaba sacra e meditando su essa è possibile dunque ripercorrere intuitivamente la vicenda intera del cosmo.

L'ordine dell'universo

Insieme a questa esaltazione della Parola il concetto di ṛta, di cui come abbiamo visto è custode Varuṇa, è probabilmente quello più filosoficamente significativo dei Veda. È l'idea, che sarà successivamente espressa con il termine Dharma, secondo il quale l'intero universo, dal moto degli astri al succedersi delle stagioni, dal comportamento degli animali fino a quello umano, segue un'unica legge. Essa unisce quattro mondi: quello naturale e materiale, quello divino, quello umano e il mondo del sacrificio. Mentre nel mondo naturale la legge funziona in modo immediato ed infallibile, nel mondo è costantemente esposta alla trasgressione ed al disordine. Di qui l'importanza di una corretta condotta etica, vale a dire di un comportamento che inserisca l'azione umana nel più ampio quadro dell'azione dell'universo, ma soprattutto la necessità di compiere in modo corretto il sacrificio ed i suoi complessi rituali, che rappresentano la via principale per accordare il microcosmo umano con l'universo.

La società vedica

I Veda sono espressione di una civiltà centrata prevalentemente su villaggi organizzati in unità più ampie guidate da membri particolarente facoltosi. Unità di base della società è la famiglia, la cui abitazione ha un'aria sacra destinata ad ospitare Agni attraverso la presenza di tre fuochi distinti, uno ad Ovest, uno ad Est ed uno a Sud. La presenza del rito è costante a tutti i livelli della vita sociale e mira a stabilire una condizione di purezza, combattendo gli elementi contaminanti, che si tratti di sostanze organiche, come sudore o sperma, o di comportamenti che deviano dalla norma (Piantelli, pp. 32-33). Questo spiega la centralità dei brāhmaṇi, gli specialisti del sacro che grazie alla loro conoscenza dei riti permattono di arginare il caos che minaccia la comunità.

I brāhmaṇi rappresentano la più elevata e nobile delle caste in cui è divisa la società indiana già in epoca vedica. La casta immediatamente inferiore è quella degli kṣatriya, soldati e governanti, cui appartiene anche il re, che pur non essendo sacerdore è coinvolto nel sacrificio del cavallo, uno dei più antichi e importanti rituali vedici. Seguono le caste dei vaiśya, i lavoratori, e degli śūdra, i servi. Questa suddivisione in caste ha una giustificazione mitica nel Ṛgveda. In un inno si parla dello smembramento di un mitico Uomo primordiale, il Puruṣa, dalle cui membra derivano le diverse caste sociali. In una società centrata, come appena detto, sulla differenza tra puro e impuro, le caste si ordinano gerarchicamente a seconda della purezza delle parti da cui provengono: i brāhmaṇi dalla bocca, gli kṣatriya dalle braccia, i vaiśya dalle cosce e gli śūdra dai piedi (o dall'ano secondo altre versioni) (Rossella, p. 63)

Bibliografia minima

Raimon Panikkar (a cura di), I Veda. Mantramanjari, a cura di Raimon Panikkar, BUR, Milano 2012.

Raimon Panikkar, Gli inni cosmici dei Veda, BUR, Milano 2013 (edizione digitale).

Raimon Panikkar, Il dharma dell'induismo, BUR, Milano2006.

Massimo Piantelli, La "religione" vedica, in Giovanni Filoramo (a cura di), Hinduismo, Laterza, Roma-Bari 2007.

Daniela Rossella, Induismo. Religiosità, pensiero e letteratura, Guerini e Associati, Milano 2017.