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Indice

1. La vita e le opere

Michel Foucault nasce a Poitiers nel 1926, da una famiglia borghese. Frequenta il Liceo Henri IV di Parigi e poi l’École normale supérieure, dove ha come docenti, tra l’altro, Maurice Merleau-Ponty e Louis Althusser. Dopo i vent’anni manifesta tendenze suicide e comincia a far uso di droghe pesanti. Nel 1953, durante un viaggio in Italia, studia il pensiero di Nietzsche, che avrà una profonda influenza su di lui. Aderisce per un breve periodo al Partito comunista. Nel 1954 si sposta in Svezia per insegnare all’università di Uppsala, dove trova un ricco archivio sulla storia della psichiatria che sarà fondamentale per la stesura della Storia della follia nell’età classica. Tornato in Francia, si dedica alla carriera accademica. Nel 1960 conosce lo studente Daniel Defert, che sarà il suo compagno per tutta la vita. Nel 1963 pubblica Le parole e le cose, che ottiene grande successo ma suscita anche feroci stroncature. Al seguito di Defert si trasferisce per qualche anno a Tunisi, dove sostiene la lotta studentesca. Nel 1968 appoggia il movimento studentesco francese. Nel 1969 esce L'archeologia del sapere. Dal 1970 è docente presso il prestigioso Collège de France. Nel 1970 partecipa alla fondazione del Group d'Information sur les prisons, che intende dar voce alle rivendicazioni dei detenuti. Nel 1975 esce Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, l’anno successivo La volontà di sapere, il primo dei tre volumi della Storia della sessualità; gli altri due, L'uso dei piaceri e La cura di sé escono nel 1984. Foucault muore lo stesso anno per complicazioni legate all’Aids.

2. Un dibattito sulla natura umana

In un famoso dibattito alla televisione olandese del 1971 Michel Foucault si confronta con Noam Chomsky sul tema della natura umana. Si può sostenere che esista qualcosa come una natura umana? Il filosofo statunitense ritiene di sì, forte dei suoi studi di filosofia del linguaggio, affermando che esistono alcune tratti di fondo che caratterizzano la specie umana e la distinguono da qualsiasi altra; lo dimostra tra l’altro il fatto che gli individui imparano il linguaggio in modo autonomo, seguendo degli schemi innati, che appartengono appunto alla specie. Foucault obietta che ciò che sembra innato è invece storicamente condizionato. Le regolarità che si riscontrano non appartengono alla natura umana, ma vanno situate “all’interno delle altre pratiche umane, economiche, tecniche, politiche, sociologiche che servono da condizione di formazione, comparsa e da modello” (Della natura umana. Invariante biologico e potere politico, p. 37).

Altre differenze emergono quando la discussione passa ad affrontare temi politici. Il tipo di società ed organizzazione politica desiderabile è per Chomsky quello anarco-sindacalista, una organizzazione che consenta ai singoli la libertà e la creatività, superando strutture economiche e politiche oppressive. Foucault ribatte che più che pensare una società futura ideale è necessario indagare il potere nella società attuale e liberarsi dalla convinzione che esso sia concentrato nel governo, analizzandolo invece lì dove sembra non esserci, come la scuola o il sapere psichiatrico.

Non c’è modo migliore di questo dialogo per avvicinarsi alla complessa ricerca di Michel Foucault, che ha indagato il carattere storico, socialmente e culturalmente condizionato dell’essere umano, ma anche le forme particolari che il potere ha preso a partire dall’età moderna ed il rapporto che esiste tra potere e sapere.

2. Ragione e follia

Nel 1961, quando uscì la Storia della follia nell’età classica (Folie et déraison. Histoire de la folie à l'âge classiche), i manicomi erano una dolorosa realtà. Coloro che i medici avevano diagnosticato come pazzi – schizofrenici, paranoici, alienati eccetera – venivano rinchiusi in istituzioni completamente separate dal resto del corpo sociale, nelle quali subivano forme di violenza che si ritenevano giustificate dal sapere psichiatrico. Foucault studia il percorso storico che ha portato a questo modo di concepire la malattia mentale e la cura, mostrando già all’opera il suo singolare e per certi versi spiazzante procedere tra filosofia e storia.

Nella visione medioevale la follia è uno dei vizi propri della natura umana, non diversamente dall’avarizia, dalla lussuria, dalla collera eccetera, il lato negativo dell’animo umano, che si contrappone alle virtù cristiane della fede, della speranza, della carità e così via. Ma la follia ha anche un lato affascinante: il folle è il depositario di un sapere altro, di una conoscenza alternativa a quella della ragione comune. Del resto, la fede stessa appare come follia alla ragione umana. Follia e ragione dunque non si oppongono semplicemente, perché esiste anche una sorta di ragione della follia.

Durante il Rinascimento c’è ancora spazio per una considerazione positiva della follia, come dimostrano l’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam, il Don Chisciotte di Cervantes e diversi personaggi di Shakespeare. Questo richiamarsi reciproco di follia e ragione è superato in quella che Foucault chiama età classica, che comincia con il XVII e giunge fino alle soglie dell’età contemporanea. Man mano che si costituisce la ragione propriamente moderna, con il metodo di Cartesio, i principi di chiarezza e distinzione e la lotta contro il dubbio, diventa impossibile pensare una qualsiasi positività o verità della follia, che è ora invece l‘anti-ragione, il negativo che la ragione ha il diritto e il dovere di combattere. I folli vengono dunque segregati e internati insieme ai poveri e ai marginali, considerati un pericolo per l’ordine pubblico. Non c’è alcuna pretesa di guarigione. Parallelamente si costruisce la concezione della follia come malattia, e non più difetto morale. Essendo tale, essa non ha più nulla in comune con la sanità e con la ragione. Il folle non è più depositario di nessun sapere, di alcuna conoscenza. Propriamente non è più un soggetto, ma l’oggetto di un sapere nuovo: il sapere psichiatrico.

A fine Settecento nasce il manicomio moderno: nel 1796 il quacchero William Tuke fonda in Inghilterra lo York Retreat e in Francia Philippe Pinel dirige il Bicêtre di Parigi. Ora l’internato non è più sottoposto a maltrattamenti fisici, ma i principi umanitari che ispirano queste istituzioni non impediscono che si attui in esse una violenza più sottile. L’internato è sottoposto costantemente allo sguardo che osserva e giudica e da cui scaturisce poi il sapere psichiatrico che osserva e classifica. In queste istituzioni, che riproducono come in un microcosmo la struttura e i valori della società borghese, il folle è ridotto ad uno stato di minorità simile a quello del bambino, e il medico ha su di lui l’autorità indiscussa del padre.

Il medico ha potuto esercitare la propria assoluta autorità nel mondo dell’asilo soltanto nella misura in cui, fin dall’origine, è stato Padre e Giudice, Famiglia e Legge, mentre la sua pratica medica non faceva da tempo che commentare i vecchi riti dell’Ordine, dell’Autorità e della Punizione. (Storia della follia nell’età classica, p. 433)

Secondo Foucault il manicomio è dunque un piccolo concentrato della società borghese e capitalista, ed è il luogo in cui si fa evidente la violenza che la attraversa.

3. Epistemi

Le parole e le cose (Les Mots et les Choses) si conclude con una dichiarazione che richiama l’annuncio nietzscheano della morte di Dio. In questo caso a morire è l’uomo stesso:

L’uomo è un’invenzione di cui l’archeologia del nostro pensiero mostra agevolmente la data recente. E forse la fine prossima. (Le parole e le cose, p. 414)

Come indica il sottotitolo, l’opera intende essere una archeologia delle scienze umane, ossia studiare il modo in cui sono nate e si sono sviluppate le diverse forme contemporanee di sapere sull’uomo. Concetto fondamentale è quello di episteme, termine con il quale Foucault indica i codici fondamentali, e tuttavia inconsci, che sono alla base della visione del mondo di una determinata epoca. Non si tratta solo delle diverse visioni scientifiche, religiose o filosofiche, né delle correnti artistiche, ma di una sorta di struttura latente che rende possibile tutte queste espressioni culturali e le lega tra di loro. Compito dello scavo archeologico di Foucault è appunto quello di portare alla luce queste epistemi e indagare il loro cambiamento, che avviene senza che vi sia una evoluzione, un passaggio graduale dall’una all’altra, ma piuttosto con una rottura brusca, un repentino cambiamento di percezione della realtà di cui è impossibile conoscere le reali ragioni.

Foucault analizza tre epistemi.

La prima è quella pre-classica, rinascimentale, che giunge fino alla metà del Seicento ed è centrata sulla somiglianza. In quest’epoca tutte le forme di sapere e le esperienze ad essa legate si muovono nella direzione della ricerca di analogie, contatti, legami per noi ormai incomprensibili tra parti del cosmo lontane tra loro (l’erba e le stesse, il volto umano e i pianeti ecc.). In quest’epoca esiste un rapporto necessario, e non convenzionale, tra le parole e le cose; le parole sono segni che appartengono alle cose e servono a svelarne la natura. [L'episteme pre-classica]

Questo rapporto entra invece in crisi con la nascita dell’epoca classica. Da Descartes in poi, per il pensiero occidentale non c’è più una coincidenza immediata tra i segni e le cose. La figura che più di qualunque altra indica il passaggio alla nuova era è per Foucault quella di Don Chisciotte, il cavaliere improbabile che cerca di realizzare ciò che ha letto nei libri, ma si accorge che “le somiglianze e i segni hanno sciolto le loro antica intesa” (ivi, p. 62) e si trova a vagare in questo scarto tra la letteratura e la vita reale.

È il passaggio dalla visione magica che trova richiami e somiglianze in tutto all’approccio razionale e scientifico che classifica le cose e ne stabilisce l’ordine. Il mondo è ancora conoscibile, ma non grazie al rapporto immediato tra segno e cosa, bensì attraverso la rappresentazione e ciò cui essa si riferisce. Nel campo dell’economia, ad esempio, nell’epoca rinascimentale il valore di una moneta consisteva nel valore del suo stesso metallo, era dunque intrinseco alla cosa, mentre ora il valore di una moneta rappresenta il suo valore di acquisto.

Il sapere classico nutre fiducia nella possibilità di ricostruire l’ordine del mondo attraverso un sapere che opera classificazioni, mettendo insieme ciò che è simile e distinguendolo da ciò che è diverso (si pensi a Linneo). L’ideale è quello di una mathesis, una “scienza generale dell’ordine” quale “disposizione delle identità e delle differenze in elenchi ordinati” (ivi, p. 87).

Con la frattura ulteriore che porta alla nascita dell’episteme moderna, che per Foucault si realizza nel corso dell’Ottocento. L’uomo stesso, da soggetto che conosce, diventa oggetto di conoscenza; è in questo senso che il filosofo afferma che l’uomo è una invenzione moderna. Con la nascita delle scienze umane nasce anche l’uomo come oggetto di conoscenza e al tempo stesso fonte di qualsiasi conoscenza possibile.

La visione moderna è prettamente storica. Pensare il mondo nell’epoca classica significava disporlo secondo un ordine razionale; ora vuol dire invece analizzare lo sviluppo storico di ogni fenomeno. Nel caso dell’economia, ad esempio, si tratta di scorgere dietro il valore economico il lavoro dell’essere umano e lo sviluppo della produzione. La lingua diventa ora una realtà autonoma che può e deve essere studiata — come fanno autori come Franz Bopp — nel suo sviluppo storico, indagando i rapporti tra le diverse lingue e le derivazioni delle une dalle altre.

In questo periodo dunque nasce l’uomo come lo intendiamo, vale a dire un essere caratterizzato in primo luogo dalla finitezza. L’uomo oggetto/soggetto delle scienze umane non è più un frammento di infinito, non è pensato in relazione con la Trascendenza, ma è un essere limitato, storico, situato nel suo corpo e nella sua epoca. Come essere storicamente situato, l’uomo diventa anche problematico. Descartes poteva affermare “penso, dunque sono”, derivando immediatamente l’essere dal pensare. All’uomo moderno questo non è più possibile. [L'uomo come allotropo empirico-trascendentale] L’“io penso” è implicato in una quantità di cose che sfuggono alla comprensione e che rendono impossibile giungere a conclusioni sull’essere del soggetto. L’io non è astratto, ma è un io che parla, che lavora eccetera. Ma che sono il linguaggio e il lavoro? Possiamo dire di possederli interamente? No: sono realtà che esistono prima di noi e che vanno oltre di noi. “Posso forse dire — chiede Foucault — di essere questo lavoro che faccio con le mie mani, ma che mi sfugge non solo quando l’ho finito, ma prima ancora che l’abbia iniziato?” (ivi, p. 348). In quanto essere storico, inoltre, l’uomo moderno si trova separato da qualsiasi origine. Nasce in un mondo già avanzato, nel quale si inserisce, senza che gli sia possibile comprendere quando tutto ha avuto inizio. Il lavoro, la vita, il linguaggio si presentano ora come mondi a sé stanti, che hanno una loro storia, ma di cui non è possibile individuare l’origine. [Scienze umane e scomparsa dell'uomo]

4. La società disciplinare

Sorvegliare e punire. Nascita della prigione (Surveiller et punir: Naissance de la prison) **riprende il discorso della Storia della follia, analizzando un’altra manifestazione della razionalità moderna, che non diversamente dal manicomio dimostra come principi umanitari si risolvano in una pratica di controllo e dominio di fatto violenta.

Il libro comincia con la descrizione dettagliata del terribile supplizio di un uomo accusato di aver attentato alla vita di re Luigi XI. Siamo nel 1757 e simili esecuzioni rappresentano ancora, in Francia, uno spettacolo cui il popolo è chiamato a partecipare a scopo educativo. Ma nel volgere di qualche decennio l’Illuminismo porterà una nuova sensibilità. Cambia la visione del crimine, che è concepito come un attacco al patto sociale e non alla sovranità del re, e cambia la visione della pena, che non dev’essere crudele, ma efficace. E per essere efficaci le pene devono essere certe, costanti, ben definite, in modo che ogni infrazione abbia la sua precisa risposta, e mirare alla trasformazione del condannato.

Per ottenere questa trasformazione nasce la prigione, come luogo nel quale il detenuto sarà sottoposto a un rigorosissimo regolamento e soprattutto di una sorveglianza continua, costante, totalitaria. La stessa struttura dell’edificio si adegua a questa nuova esigenza: il carcere modello è ispirato al Panopticon di Jeremy Bentham, con una torre centrale in cui sono posti i sorveglianti e intorno una struttura ad anello con delle celle esposte allo sguardo. È un modello di struttura disciplinare che si diffonde ovunque:

Esso è polivalente nelle sue applicazioni; serve a emendare i prigionieri, ma anche a curare gli ammalati, istruire gli scolari, custodire i pazzi, sorvegliare gli operai, far lavorare i mendicanti e gli oziosi. (Sorvegliare e punire, p. 224)

Questo vuol dire che l’intera società viene organizzata come una prigione. È la società disciplinare, interamente strutturata in modo che ci sia quasi ovunque qualcuno che osserva, dirige, regola il comportamento di altri. Questa osservazione è guidata da una visione binaria che consente di classificare ciò che si osserva: normali e pazzi, sani e malati, disciplinati e indisciplinati eccetera. L’osservazione consente poi di intervenire sulle persone in base al modo in cui sono state classificate.

Interno della prigione Presidio Modelo, Isla de la Juventud, Cuba (Wikimedia, licenza CC BY-Sa 3.0). Un esempio di prigione costruita secondo il modello del Panopticon.

La società disciplinare ricorre dunque in primo luogo a una serie di luoghi di segregazione, nei quali sono concentrate le persone da controllare: manicomi, ospedali, carceri, fabbriche, caserme, scuole. Ma si serve anche di un controllo capillare delle attività. La giornata è scandita da una serie di rituali precisi, fissi; molto usati sono anche gli esercizi, che passano da campo religioso (gli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola) a quello laico, rivelandosi preziosi per formare l’abitudine di disporre i corpi secondo le richieste del potere disciplinare. Ogni scarto del comportamento dalla norma viene punito con la sanzione ad esso assegnata.

Affinché la sorveglianza sia efficace un solo sorvegliante non basta. Si crea una vera e propria gerarchia di sorveglianti, così come si creano fascicoli ed archivi nei quali vengono raccolti i risultati delle osservazioni. Questi documenti costituiscono una fonte di conoscenza sulla persone sottoposte al sistema disciplinare, ma al tempo stesso conoscono solo ciò che il sistema stesso costruisce. Il potere dell’istituzione è accompagnato da un sapere, da quella conoscenza che nasce dalla osservazione costante (si pensi al registro dei voti e ai giudizi dei docenti), che però coglie l’individuo solo come membro dell’istituzione stessa e può registrare solo il grado di maggiore o minore conformità alle richieste dell’istituzione. L’istituzione opera una costante normalizzazione del soggetto, conformandolo secondo la norma che essa stessa ha stabilito. La possibilità del soggetto di essere riconosciuto come tale – di essere un bravo studente o un detenuto sulla via del ravvedimento – è legata alla sua disponibilità all’assoggettamento all’istituzione stessa.

5. Il biopotere

La nascita della prigione e delle altre istituzioni disciplinari è espressione di una trasformazione nella concezione e nella pratica del potere e della sovranità nelle società occidentali. Fino al Seicento il potere del sovrano si è espresso soprattutto attraverso una sua prerogativa: quella di poter dare legittimamente la morte. Il potere poteva condannare a morte e disporre liberamente del corpo del condannato. Il potere ha la prerogativa di prendere: può impossessarsi dei beni, ma giungere anche a prendere la vita del condannato. Ora invece il potere del sovrano, pur non cessando di praticare la soppressione della vita su larga scala, attraverso le guerre e le violenza sulla propria stessa popolazione, si presenta anche in una forma apparentemente positiva: la pratica delle gestione della vita. Il potere si occupa di favorire la crescita anche numerica della popolazione e il miglioramento della salute e dell’istruzione.

Anche in questo caso, il potere è indissolubilmente legato al sapere. Per favorire la salute dei sudditi occorre conoscere la loro condizione, avere dati esatti sulla diffusione delle malattie, eccetera; servono dati sul numero di persone, sull’andamenti delle nascite, sulla mortalità infantile, sull’alfabetizzazione, e così via. Il popolo, sottoposto a questa costante indagine conoscitiva, diventa popolazione, una collettività che è costituita dalle tecnologie di governo. Il sapere medico e quello economico vengono in primo piano quali strumenti per il governo della popolazione inteso come corpo sociale, del cui benessere e della cui crescita occorre occuparsi, ma la biopolitica si serve di un ampio ventaglio di discipline comprese, dopo la loro nascita, scienze umane coma la psicologia e la sociologia.

Le conseguenze positive di questa trasformazione del potere, che è ancora oggi al centro del dibattito filosofico, sono apparentemente evidenti. Il miglioramento delle condizioni di salute e del livello di istruzione, in particolare, e l’aumento dell’età media della popolazione sono effetti di interventi biopolitici. Ma nella pratica biopolitica rientrano anche le diverse esperienze di eugenetica. Se compito di chi governa è migliorare la popolazione, allora si può ritenere che sia lecito o perfino doveroso intervenire anche sul piano genetico. Una pratica che nella storia recente si è associata al razzismo e alla violenza nei confronti di qualunque soggetto venisse percepito come un pericolo per la sanità genetica della popolazione.

6. Sessualità e potere

Il rapporto tra soggetto e potere è centrale anche nei quattro volumi (l’ultimo uscito postumo) della Storia della sessualità. Foucault non studia il cambiamento dei costumi sessuali nei secoli, ma il modo in cui nell’età moderna il potere ha governato la sessualità e, in questo modo, ha formato un certo tipo di soggettività. Per la Chiesa la pratica sessuale è naturalmente peccaminosa, ma il fatto stesso che il sesso sia peccato costringe i soggetti a fare di continuo discorsi sulla propria sessualità, perché a partire dal Concilio di Trento la Chiesa intensifica la pratica della confessione, che diventa in parte determinante confessione della propria sessualità. E non soltanto degli atti sessuali, perché alla base di essi c’è il desiderio, che dev’essere anch’esso analizzato e quindi confessato. Il potere dunque non si limita a reprimere la sessualità, ma spinge a raccontarla. La pratica della confessione per Foucault passa poi gradualmente dall’ambito religioso a quello scientifico. La confessione

a partire dal protestantesimo, dalla Controriforma, dalla pedagogia del XVIII e dalla medicina del XIX secolo, ha perduto la sua localizzazione rituale ed esclusiva; si è diffusa; è stata utilizzata in una serie di rapporti: figli e genitori, allievi e pedagoghi, malati e psichiatri, delinquenti ed esperti. (La volontà di sapere, p. 58)

Si costituisce così, nel corso dell’Ottocento, una vera e propria scientia sexualis, che non è che una versione modificata della vecchia pratica della confessione: la confessione deve avvenire con metodi scientifici e codificati, come con le libere associazioni o con l’ipnosi; nulla va tralasciato, perché il sesso può essere la causa di qualsiasi malattia o disturbo; occorre indagare a fondo, perché la sessualità è oscura, tende a nascondersi anche al soggetto stesso; prevede l’intervento interpretativo del medico, perché il soggetto da solo non è in grado di comprenderla; e, infine, ha un effetto terapeutico.

Se altre società, come quella antica, hanno costruito un’ars erotica, la società occidentale moderna concepisce la sessualità come un campo di esperienza sempre esposto alla patologia e che per questo ha bisogno di un’opera di normalizzazione, che a sua volta è possibile solo se il soggetto produce discorsi veri sulla sua sessualità. Per Foucault però è superficiale leggere la storia della sessualità moderna occidentale come la storia di una lunga repressione. Si può invece sospettare che la scientia sexualis sia una forma raffinata di ars retorica. In altri termini, la sessualità occidentale è caratterizzata dalla “moltiplicazione ed intensificazione dei piaceri legati alla produzione della verità sul sesso” (La volontà di sapere, p. 66). Il piacere sessuale dunque non è più legato all’atto in sé, ma si manifesta nella confessione stessa e nell’analisi del proprio desiderio che la precede.

Bibliografia essenziale

A. Opere di Foucault

Della natura umana. Invariante biologico e potere politico, DeriveApprodi, Roma 2005. Con Noam Chomsky.
Storia della follia nell’età classica, BUR, Milano 2000 (terza edizione).
Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, BUR, Milano 2010 (decima edizione).
Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino 1993.
La volontà di sapere. Storia della sessualità 1, Feltrinelli, Milano 1984.
L’uso dei piaceri. Storia della sessualità 2, Feltrinelli, Milano 1984.
La cura di sé. Storia della sessualità 3, Feltrinelli, Milano 1984.
Le confessioni della carne. Storia della sessualità 4, Feltrinelli, Milano 2022.
L'archeologia del sapere, Rizzoli, Milano 1971.
L'ermeneutica del soggetto, Feltrinelli, Milano 2003.

B. Studi

S. Catucci, Introduzione a Foucault, Laterza, Roma-Bari 2000.
S. G. Merquiror, Foucault, Laterza, Roma-Bari 1988.
S. Natoli, La verità in gioco: scritti su Foucault, Feltrinelli, Milano 2005.
P. A. Rovatti (a cura di), Effetto Foucault, Feltrinelli, Milano 1986.

Focus

 L'episteme pre-classica
 Scienze umane e scomparsa dell'uomo
 L'uomo come allotropo empirico-trascendentale

 

Testo di Antonio Vigilante. Licenza CC BY 4.0 International.