Simone Weil. Pubblico dominio.

Indice

1. La vita

La vita di Simone Weil è stata breve, ma di straordinaria intensità. Nata a Parigi nel 1909 in una famiglia della borghesia ebraica, sorella del grande matematico André, soffre fin da bambina di problemi di salute che l’accompagneranno per tutta la vita, tra cui una devastante emicrania. Frequenta il prestigioso liceo Henri IV, dove ha come docente il filosofo Alain, che la influenza profondamente, e nel 1928 è ammessa all'École Normale Supérieure. Si laurea nel 1931 e comincia ad insegnare nei licei di provincia e al contempo si impegna nell’ambito del sindacalismo rivoluzionario lottando per i diritti dei disoccupati. Nel 1932 passa qualche mese in Germania, analizzando la situazione del Paese nel quale il nazismo sta prendendo il potere. Nel 1934 lavora come fresatrice in una officina della Renault, per conoscere dall’interno la condizione operaia. Nel 1936 parte per combattere nella guerra di Spagna, unendosi alla colonia dell’anarchico Buenaventura Durruti. È costretta a tornare in Francia dopo essersi accidentalmente ustionata ad un piede. Quando i nazisti occupano la Francia, Simone Weil si rifugia per un periodo con la famiglia a Marsiglia, dove riprende il lavoro in fabbrica, fino a quando l’avanzare dei nazisti li costringe a cercare rifugio a New York. Ma la filosofa vi resta per poco tempo, sentendo di aver abbandonato il suo Paese nel momento della lotta. Torna quindi in Inghilterra e si unisce a France libre, l’organizzazione della resistenza francese, con l’idea di tornare al più presto in Francia per combattere. Muore ad Ashford nell’estate del 1943, a causa di una tubercolosi aggravata dal suo rifiuto di alimentarsi.

2. La personalità e le opere

Simone Weil colpiva chiunque la incontrasse per la sua particolare personalità: un eccezionale rigore intellettuale e morale, che la spinse a vivere in condizioni di povertà volontaria ed a sottoporsi a forti privazioni, e una fedeltà alle sue idee e ai suoi valori che faceva sì che apparisse anticonformista fino allo scandalo. La sua biografa ed ex compagna alla Normale Simone Pétrement ricorda che ai tempi in cui insegnava a Le Puy e lottava per i diritti dei disoccupati qualcuno aveva commentato: “Pare che l’Anticristo sia a Le Puy. È una donna, vestita da uomo”.1 In effetti colpiva, di lei, anche l’abbigliamento, e in generale la scarsa cura dell’aspetto fisico. Era la scelta di una donna che aveva deciso di eliminare del tutto dalla sua vita la seduzione fisica.

Nella prima parte della sua riflessione, a prevalere sono i temi politici. Simone Weil si interroga sulla possibilità di una società libera, con posizioni più vicine all’anarchismo che al marxismo. Tra le sue opere di questo periodo, le Réflexions sur les causes de la liberté et de l'oppression sociale (Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale) e La condition ouvrière (La condizione operaia). Con gli anni a questi temi politici si affiancano quelli religiosi. Simone Weil si avvicina al cristianesimo, pur senza mai convertirsi, ma approfondisce anche le religioni orientali, studiando il sanscrito. Tra gli scritti di questa fase, usciti tutti postumi e scritti tra il 1940 e gli ultimi giorni di vita, si segnalano L'Iliade ou le poème de la force (L’Iliade poema della forza), Attente de Dieu (Attesa di Dio), La pesanteur et la grâce (L’ombra e la grazia), L'enracinement (La prima radice) e gli Écrits de Londres et dernières lettres (Scritti di Londra e ultime lettere).

3. Lavoro e libertà

La prima riflessione filosofica di Weil è legata alla sua attività politica sindacalista e a suo modo rivoluzionaria. Se Marx ha analizzato le diverse forme di alienazione dell’operaio, Weil le ha vissute sulla sua pelle lavorando in fabbrica. La condizione operaia è un toccante reportage che testimonia in primo luogo l’azione di abbrutimento che un simile lavoro comporta per l’operaio, realmente ridotto a cosa, sfiancato dalla fatica, stordito dalla ripetizione costante degli stessi gesti e costretto a fissare costantemente l’attenzione, facoltà umana fondamentale per la filosofa, su cose insignificanti. L’esperienza mostra la vaghezza dell’idea di una “classe operaia libera”, formulata da comunisti che “non avevano messo mai piede in un’officina”2 e quindi non avevano alcuna conoscenza di cosa determina realmente la schiavitù operaia.

Pensare una società libera vuol dire dunque non dare astrattamente il potere agli operai, ma rivedere le concrete condizioni del lavoro umano. È questo il problema della seconda parte delle Riflessioni sulla causa della libertà e dell’oppressione sociale, che segue ad una critica serrata di Marx. Per Simone Weil il pensiero di Marx è viziato da un dogmatismo di fondo, che proviene dall’influenza esercitata su di lui da Hegel. Nel suo pensiero le forze produttive sono in costante, irresistibile crescita, e quando si scontrano con le istituzioni sociali non possono che vincere. Queste due convinzioni rappresentano per Weil l’aspetto non solo dogmatico, ma perfino religioso del pensiero marxiano. La parte più viva del suo pensiero è invece il materialismo inteso non come dottrina ma come metodo. L’essere umano si realizza storicamente trasformando la realtà attraverso il lavoro e la produzione, sempre in condizioni particolari che occorre analizzare. Questo metodo fondamentale, però, per Weil non è mai stato realmente utilizzato dai marxisti.

Per considerare le possibilità di una società libera occorre chiedersi che cos’è un essere umano libero. La risposta di Weil è che non è libero tanto, come generalmente di crede, colui che può realizzare i suoi desideri, quanto colui che può tradurre in realtà il suo pensiero. L’uomo libero pensa, si propone un fine e riesce a realizzarlo; il suo corpo, i suoi muscoli rispondono interamente al suo pensiero e gli consentono di tradursi in realtà. La società in cui viviamo è l’esatto opposto di questo ideale. Siamo immersi in una situazione nella quale la collettività ci schiaccia, in cui tutta la vita sociale è strutturata in modo tale da impedire che i singoli individui possano essere protagonisti delle proprie azioni. “Mai l’individuo è stato così completamente abbandonato a una collettività cieca, mai gli uomini sono stati più incapaci, non solo di sottomettere le loro azioni ai loro pensieri, ma persino di pensare.” 3 La società ideale, libera dall’oppressione, dovrà essere dunque una società nella quale la natura del lavoro cambia radicalmente. Ognuno deve essere impegnato in un lavoro manuale, perché l’attività intellettuale di per sé non ha alcuna forza: le forze sono sempre materiali. In secondo luogo, ogni individuo deve avere il controllo sul suo lavoro. Poiché nessun individuo può compiere da solo la sua opera, è evidente che è necessaria la collaborazione con altri individui, ma essa deve avvenire in modo tale che a ognuno sia sempre lasciata la facoltà di controllare forme e modi di tale collaborazione. L’ideale è dunque quello di estendere a tutti il lavoro manuale, articolandolo con il pensiero e la riflessione. Weil ricorda che era questo l’ideale di Rousseau, Shelley e Tolstoj, ma è anche la visione cui giunge, dopo infinite peripezie, il Faust di Goethe.

4. La forza

Nello scritto L’Iliade, poema della forza la filosofa analizza il poema omerico con la linea interpretativa suggerita dal titolo. Chiunque legga l’Iliade è colpito dalla violenza che appare fin dai primi versi. Una violenza cieca, che travolge tutti, e alla luce della quale non esistono davvero vincitori e vinti: tutti gli esseri umani appaiono, chi prima e chi dopo, assoggettati ad essa. La forza è ciò che agisce sull’essere umano trasformandolo in cosa. In senso letterale, quando giunge all’uccisione, ossia l’azione con la quale un essere umano diventa un cadavere, o in senso figurato, quando è pietrificato dalla paura. Ma ridotto a cosa, è per Weil, anche colui che uccide, il guerriero che è preso dalla furia cieca della forza ed è “posseduto dalla guerra, come uno schiavo” 4. Il possesso della forza inebria, spinge a superare ogni limite. Ed è allora che si perde la forza. Per i Greci esiste una sorta di necessità intrinseca, che Weil considera affine al karma indiano, per cui quando l’equilibrio della forza viene infranto dall’eccesso, la forza cessa e passa all’avversario.

L’Iliade non è il poema che canta la vittoria dei Greci sui Troiani. “A stento si sente che il poeta è greco e non troiano”, scrive Simone Weil.5 Il poema, invece, svela la miseria umana, la facilità con cui tutto ciò che vi è di più nobile e spirituale può essere travolto dalla forza cieca. Per la filosofa l’unica opera in cui c’è traccia di questa pietà umana è il Vangelo, che considera l’ultima espressione della civiltà greca. La passione del Cristo mostra in che modo il Divino stesso può essere travolto dalla miseria fino a giungere alla soglia della disperazione. Ma la civiltà romana, all’interno della quale si è diffuso il cristianesimo, non ha nulla di queste sensibilità; è una civiltà che esalta la forza e non ha alcuna pietà per il nemico.

5. La necessità e il bene

L’Iliade mostra l’ineluttabilità della forza. Ma secondo Simone Weil la Grecia insegna anche altro. Scrive ne L’ombra e la grazia: “La distanza fra la necessità e il bene. Oggetto di infinita contemplazione. La grande scoperta della Grecia. Certo, era stata la caduta di Troia ad insegnarla”6. È lo studio del pensiero platonico e delle sue origini pitagoriche ad offrire alla filosofa la visione di questa tensione essenziale. La lettura del Timeo in particolare mostra la possibilità di concepire il mondo intero come una immensa opera d’arte, dalla cui armonia traspare non solo la bellezza dell’insieme, ma anche l’amore da cui è stato generato. Ed esattamente come avveniva in Grecia con Pitagora, per Simone Weil mostrare l’armonia e la bellezza di tutto l’universo è lo scopo finale, mistico, della scienza, il cui unico oggetto è l’ordine del mondo.

Il fatto che il mondo si mostri, ad uno sguardo attento in grado di considerare l’insieme, come opera divina non implica per la filosofa francese alcun panteismo. Dio non è nel mondo. Essendo il Bene, Dio è al di fuori dello spazio e del tempo, ma traspare nel mondo, scrive Weil, come l’amore di una madre traspare dal suo sorriso o dall’inflessione della sua voce.7 Considerare il mondo intero come bellezza e amore implica l’accettazione di tutti gli aspetti più dolorosi dell’esistenza, poiché fanno parte anch’essi della bellezza dell’insieme e quindi sono anch’essi bene. Con una esempio preso dal mondo dei mestieri, la filosofa scrive che è come quando un apprendista si ferisce, e si dice che “È il mestiere che gli rientra nel corpo”. 8

Ne L’ombra e la grazia Simone Weil spinge quest’ultima considerazione fino alle sue conseguenze estreme. Per cogliere il bene, la grazia che è oltre la pesantezza della necessità, occorre attraversare la stessa pesantezza, accettare fino in fondo il negativo, la sofferenza, l’abbandono. L’esempio è ancora preso dalla Grecia. Nella tragedia omonima di Sofocle, Elettra, che vive nella speranza del ritorno del fratello Oreste, viene a sapere della sua morte (poi rivelatasi falsa). Questo momento di disperazione assoluta è il momento della massima vicinanza a Dio. “Egli è colui che, mediante l’opera della notte oscura, si ritira per non essere amato come un tesoro da un avaro. Elettra che piange Oreste morto. Se si ama Iddio pensando che non esiste, egli manifesterà la propria esistenza.”9

6. Una mistica dell’assenza Dio

È qui evidente il carattere particolare della mistica di Simone Weil. Si è discusso e si discute molto della sua appartenenza o meno al cristianesimo. Nel suo pensiero il Cristo è l’espressione più alta non del mondo ebraico, ma di quello greco, la manifestazione purissima del Dio-amore. E tuttavia la sua critica senza sconti della Chiesa cattolica, segnata dalla violenza antispirituale dell’Impero romano grazie al quale si è consolidata e diffusa, le ha sempre impedito di accettare il battesimo. Ma soprattutto è la natura stessa della sua mistica a trattenerla. Se, come abbiamo appena visto, Dio si manifesta in chi lo ama pensando che non esiste, allora l’ateismo è una via verso Dio perfino più affidabile della Chiesa, con i suoi dogmi e le sue compromissioni con i poteri mondani.

In quanto mistica, Weil si allontana dal cattolicesimo anche per un altro aspetto: la rinuncia all’io. Per il pensiero cattolico l’essere umano, inteso nel suo modo più profondo, è persona; proprio in Francia si è sviluppata con Maritain e Mounier la corrente filosofica cattolica del personalismo. Per Weil invece è vero in contrario. Il bene, che è Dio, è incompatibile con qualsiasi aspetto personale. Diventiamo capaci di bene e di bellezza nella misura in cui trascendiamo noi stessi. “La persona in noi – scrive ne La persona e il sacro – corrisponde alla parte che in noi è errore e peccato. Tutti gli sforzi dei mistici hanno sempre mirato a ottenere che nella loro anima non vi fosse più neppure una parte che dicesse ‘io’.” 10 Il bene ha dunque un carattere transpersonale: realizziamo i valori (la giustizia, la verità, la bellezza) nella misura in cui riusciamo a liberarsi da noi stessi, ma anche andando oltre l’altro, considerando l’umanità in lui, e non la sua singolarità.

7. Diritto e obbligo

Nel 1943, mentre è impegnata a Londra con France libre, Simone Weil scrive un Prélude à une déclaration des devoirs envers l'être humain (Preludio a una dichiarazione dei doveri verso l’essere umano) che intendeva indicare i principi generali cui informare le società democratiche dopo la fine della guerra. Il libro, pubblicato postumo con il titolo L’enracinement (in italiano La prima radice) è la sintesi più organica del pensiero di Weil.

Come è evidente fin dal titolo, la filosofa attacca la cultura dei diritti , che si è diffusa in Europa dall’Illuminismo in poi. C’è una contraddizione nella nozione di diritto, per Weil. Da una parte i diritti si pongono come universali, validi sempre e per tutti, dall’altro il loro riconoscimento effettivo è sempre legato a condizioni particolari. Diverso è invece l’obbligo. Esso è universale ed intrinseco all’essere umano. Siamo obbligati, sempre e comunque, indipendentemente dalle condizioni, a rispettare qualsiasi altro essere umano, indipendentemente dal fatto che egli abbia dei diritti riconosciuti. Un tale obbligo, che si trova negli scritti più antichi dell’umanità, viene prima del diritto, ed è anzi il criterio in base al quale valutare le leggi positive.

8. Bibliografia minima

8. 1. Opere di Simone Weil

La Grecia e le intuizioni precristiane, Rusconi, Milano 1974.
Quaderni, Adelphi, Milano 1982, 1985, 1988 (3 voll.).
La condizione operaia, Studio Editoriale, Milano 1994.
L’ombra e la grazia, Rusconi, Milano 1996.
La prima radice, Leonardo, Milano 1996.
Attesa di Dio, Adelphi, Milano 2008.
La persona il sacro, Adelphi, Milano 2012.
Oppressione e libertà, Orthotes, Napoli-Salerno 2015.
Una costituente per l'Europa. Scritti londinesi, Castelvecchi, Roma 2019.

8. 2. Opere su Simone Weil

Roberto Esposito, L'origine della politica. Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996.
Thomas R. Nevin, Simone Weil. Ritratto di un'ebrea che si volle esiliare, traduzione di Giulia Boringhieri, Bollati Boringhieri, Torino 1997.
Simone Pétrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 2010.

Note

1 S. Pétrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 2010, p. 157.
2 S. Weil, La condizione operaia, Studio Editoriale, Milano 1994, p.122,
3 S. Weil, Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, in Ea., Oppressione e libertà, Orthotes, Napoli-Salerno 2015, p. 117.
4 S. Weil, L’Iliade o il poema della forza, Asterios, Trieste 2012, p. 71.
5 Ivi, p. 80.
6 S. Weil, L’ombra e la grazia, Rusconi, Milano 1996 (terza edizione), p. 113.
7 S. Weil, La Grecia e le intuizioni precristiane, Rusconi, Milano 1974, p. 150.
8 Ivi, p. 148.
9 S. Weil, L’ombra e la grazia, cit., p. 29.
10 S. Weil, La persona il sacro, Adelphi, Milano 2012.

Testo di Antonio Vigilante. Licenza CC BY SA 4.0 International.