Socrate

Leonidas Drosis: Statua di Socrate. Accademia di Atene. Foto di lentina_x, url: https://www.flickr.com/photos/lentina_x / Licenza CC NC-SA 2.0.

Indice

I volti di Socrate

Socrate rappresenta per molti versi, nell’immaginario occidentale, l’incarnazione stessa del filosofo: dell’uomo appassionato, libero, autosufficiente, privo di fanatismo ma al tempo stesso pronto a morire per le proprie idee. Non è infrequente che, per via della sua morte, ma anche per la profondità del messaggio morale, sia accostato a Gesù Cristo. Eppure la sua figura resta per noi per molti versi misteriosa. Non avendo lasciato nulla di scritto, occorre affidarsi alle testimonianze dei suoi discepoli, che però ci restituiscono figure diverse. La prima, di gran lunga più influente, è quella di Platone, principale discepolo di Socrate e filosofo immenso. Socrate è il personaggio principale di diversi dialoghi platonici; è però difficile, se non impossibile, stabilire quante delle cose che afferma appartengano al Socrate storico e quante al personaggio letterario. Un problema che non si pone con gli scritti di un altro discepolo di Socrate, Senofonte, che è uno storico, e non un filosofo, e dunque ha poco da aggiungere al messaggio del maestro. C’è la possibilità, tuttavia, che gli sfuggissero gli aspetti più raffinati del suo pensiero, non essendo in grado di coglierli. Una terza fonte è il commediografo Aristofane, che ne Le nuvole presenta Socrate come un ciarlatano, che si occupa di questioni oziose e insegna ai suoi discepoli a far prevalere anche le tesi più assurde. Più che una fonte, il testo di Aristofane è una testimonianza sul modo in cui una parte della società ateniese recepiva il suo messaggio, evidentemente non distinguendolo da quello dei Sofisti.

Vita e contesto

Socrate nasce ad Atene nel 470 o 469 a. C., figlio di uno scultore, Sofronisco, e di una levatrice, Fenarete. Quasi coetaneo di Pericle (nato nel 495 a. C.), ha vissuto la propria giovinezza e prima maturità nel momento d’oro di Atene, seguito alla vittoria sui Persiani ed al governo del grande statista, che favorì lo sviluppo delle arti e della cultura. Di origini probabilmente nobili, visse in modo semplice, non esercitando alcun lavoro, ma dedicandosi interamente alla vita filosofica, che praticava nelle vie e nelle piazze, e consisteva nell’interrogare sul loro sapere gli uomini eminenti della città, impegnandoli in una indagine che conduceva secondo il metodo maieutico. Fu sposato con Santippe, che le fonti descrivono come una donna dal carattere insopportabile (ma secondo Aristotele il nome di sua moglie era Myrto). Combatté come oplita nella battaglie di Pontidea, di Delio e di Anfipoli, segnalandosi per il coraggio, e fece parte della Boulé, il Consiglio dei cinquecento che costituiva uno degli organismi centrali della Atene democratica.

Nel 431 scoppiò la Guerra del Peloponneso contro Sparta, che terminò nel 404 con la sconfitta di Atene, dopo la quale si instaurò nella città il regime dei Trenta Tiranni, guidato dal filosofo Crizia. Dopo solo un anno il regime cadde e si restaurò la democrazia sotto la guida del generale Trasibulo. In questo periodo Socrate, che aveva un vasto seguito soprattutto di giovani, venne accusato da Anito, Licone e Meleto di corrompere i giovani, di non credere negli dèi della città e di cercare di introdurre nuove divinità. Il filosofo si difese da solo. Venne condannato a morte ed accettò la condanna, rifiutando la proposta di fuga, bevendo un infuso di cicuta. Morì nel 399 a.C., all’età di circa settant’anni.

Il Socrate di Senofonte

Senofonte

Secondo Diogene Laerzio, da giovane Senofonte si imbatté in Socrate in una via stretta. Il filosofo gli sbarrò la strada con un bastone e cominciò a interrogarlo sulla provenienza dei diversi alimenti. Il giovane Senofonte rispose correttamente. Allora Socrate gli chiese da dove provengono gli uomini virtuosi. Senofonte non seppe rispondere. “Seguimi, allora, e imparalo”, gli disse Socrate (Diogene Laerzio, Libro II, 48, p. 195). E da quel giorno Senofonte divenne discepolo di Socrate, che frequentò per circa tre anni.

Nato ad Atene intorno al 430 a.C., Senofonte è noto soprattutto per l’Anabasi, testimonianza della vicenda dei mercenari greci, di cui faceva parte lui stesso, assoldati dall’imperatore Ciro il Giovane per impossessarsi del trono di Persia, ma è autore anche di quattro scritti socratici: l’Apologia di Socrate, i Memorabili, l’Economo e il Simposio. I Memorabili in particolare costituiscono una fonte importante per la conoscenza di Socrate, anche se variamente valutata dagli studiosi: i più considerano il Socrate di Senofonte un Socrate minore, filtrato dalla sensibilità poco raffinata di Senofonte, ma non manca chi ritiene che il fatto che Senofonte sia uno storico, e non un filosofo, gli abbia consentito di riportare il messaggio socratico in modo fedele, senza le alterazioni dovute alla riflessione personale o ai propri interessi speculativi.

L’autodominio

I temi della riflessione di Socrate secondo la testimonianza di Senofonte sono affini a quelli dei Sofisti, anche se diversi sono il metodo e la finalità. Socrate non si occupa di questioni fisiche, della natura del mondo e della sua origine, ma di questioni etiche, estetiche e politiche. Il tema di fondo è quello che potremmo definire della vita buona, che in lui è indissolubile dalla condizione di un uomo libero.

Il primo strumento nella via verso la libertà è la conoscenza intesa come conoscenza di sé stessi. Socrate fa proprio il motto scritto nel tempio dell’oracolo di Delfi: “Conosci te stesso”. Ma cosa vuol dire, in concreto, conoscere sé stessi? In un dialogo con Eutidemo, riportato da Senofonte, Socrate presenta la conoscenza di sé soprattutto come consapevolezza delle proprie capacità e dei propri talenti, in modo da saperli usare a proprio vantaggio e anche per il bene della collettività (Memorabili, IV, 2, 24-30, pp. 553-557).

Il tema fondamentale dell’insegnamento socratico, secondo Senofonte, è quello dell’autodominio (enkrateia). Se è schiavo di sé colui che non si conosce, maggiormente schiavo è chi non è in grado di dominare i propri desideri e le proprie passioni. Coloro che sono privi di autodominio sono spinti a compiere le azioni peggiori e non riescono nemmeno a scegliere le cose che per loro sono più utili. Praticare l’autodominio non vuol dire però negare sé stessi o essere ascetici; si tratta piuttosto di un modo di vivere razionalmente, senza lasciarsi travolgere dalla propria parte emotiva. Socrate non nega il piacere; al contrario, afferma che l’autodominio stesso consente di godere in modo più intenso dei piaceri sensuali. Solo chi riesce a sopportare a lungo l’assenza di cibo o di sesso può poi godere nel modo più completo di entrambi (Memorabili, IV, 5, 1-12, pp. 591-599).

L’idea di autodominio presuppone la distinzione tra una parte più nobile dell’essere umano, l’anima razionale, e una parte meno nobile, quella passionale ed emotiva. Nel Socrate di Senofonte però questa distinzione non comporta la svalorizzazione del corpo e delle attività corporee.

Il corpo

Nel Memorabili Socrate rimprovera il giovane Epigene, uno dei suoi seguaci, per la sua pessima forma fisica. Il giovane si difende affermando di non essere un atleta. Socrate risponde con argomenti che diventano via via più filosoficamente interessanti. Comincia osservando che chi ha un corpo debole rischia di essere ucciso o fatto prigioniero in battaglia; una buona forma fisica consente di essere forti e in salute e quindi di essere utili per sé stessi, per gli amici e per la città. Ma la cura del corpo è indispensabile anche per chi è impegnato in attività intellettuali, perché il corpo e la mente sono intimamente legati:

Infatti, anche in ciò in cui pensi che ci sia meno bisogno del corpo, ossia nel pensare, chi non sa che proprio in questo si commettono gravi errori se il corpo non è in salute? La perdita di memoria, l'ansia, il cattivo umore e la follia spesso colpiscono la capacità intellettiva, così da eliminare la cognizione, a causa della cattiva salute fisica. (Memorabili, III, 12, 6, p. 521)

Autarchia

L’ideale umano del Socrate senofonteo è quello di un uomo che sa rendersi libero grazie alla forza della volontà e dell’intelligenza, ma che sa anche amministrare sé stesso. Ha il dovere di valorizzare i suoi talenti per rendersi utile agli altri, ma anche e soprattutto di non dipendere da nessuno anche sotto il profilo economico. Per questo, se necessario, deve dedicarsi anche al lavoro manuale, che i suoi concittadini consideravano indegno di un uomo libero. In un dialogo con Aristarco, un amico in gravi difficoltà economiche, con a carico quattordici parenti alle cui necessità non riesce a provvedere, lo invita a impegnarli in attività manuali, superando il pregiudizio secondo il quale tali attività sono vergognose per persone libere (Memorabili, II, 7, 1-11)

L’esistenza di Dio

In un dialogo con Aristodemo, il filosofo confuta l’affermazione secondo la quale agli dèi non importa nulla degli esseri umani. Per Socrate la dimostrazione che gli dèi hanno la massima cura degli esseri umani è nel fatto che essi lo hanno dotato magnificamente sia riguardo al corpo che all’anima. Esiste per Socrate una intelligenza divina che governa il cosmo come la nostra mente governa il nostro corpo e che è costantemente consapevole di tutto ciò che accade. In questo modo, secondo Senofonte, che appare preoccupato di dimostrare l’ortodossia religiosa del maestro, Socrate spronava i discepoli a fare il bene, dal momento che nulla sfugge agli dèi (Memorabili, I, 4, 8-19).

Il Socrate di Platone

Platone discepolo di Socrate

Platone incontrò di Socrate all’età di vent’anni, per diventarne presto il discepolo più brillante. Secondo una leggenda riportata da Diogene Laerzio, Socrate sognò di tenere sulle ginocchia un piccolo cigno, che mise subito le ali e volò via. Il giorno dopo si presentò da lui Platone e il filosofo riconobbe in lui il cigno che aveva sognato. Ancora Diogene Laerzio racconta che Platone diede alle fiamme le poesie con le quali stava per partecipare a un concorso e cominciò a seguire il maestro (Vite dei filosofi, III, 5).

Dopo la morte di Socrate Platone ebbe altri maestri, ma l’insegnamento socratico rimase per lui un irrinunciabile punto di riferimento. Il confronto con il maestro continua attraverso la scrittura dei suoi primi dialoghi, nei quali Socrate è il personaggio principale.

Socrate pensatore scomodo

Nella Apologia di Socrate il filosofo racconta in prima persona l’inizio della sua attività pubblica. Dopo aver saputo che l’oracolo di Delfi aveva decretato che Socrate era il più sapiente degli uomini questi, consapevole di non essere sapiente, si mise ad interrogare gli ateniesi di rango, in modo da poter dimostrare la loro sapienza e smentire l’oracolo. Le sue discussioni con i politici, poeti e scrittori di maggior fama però mostrarono che nessuno di loro è realmente sapiente. Socrate, consapevole di non possedere nessuna sapienza, è in realtà più sapiente di tutti loro. Questa dimostrazione pubblica dell’ignoranza naturalmente provoca a Socrate molti nemici. Per il filosofo invece la sua è una missione per il bene di Atene. Come un un tafano che pungoli un cavallo di razza pigro così Socrate, trascurando ogni interesse privato e i suoi stessi affari, discute con i cittadini ateniesi per cercare di spingerli verso la virtù che nasce dalla conoscenza e da essa è indissolubile.

Il metodo socratico

Nell’Apologia Socrate si difende anche dall’accusa di essere un sofista. La sua straordinaria capacità dialettica è il tratto che ha apparentemente in comune con i sofisti. Nel suo caso, tuttavia, questa capacità non è finalizzata a far prevalere il proprio punto di vista, ma alla ricerca della verità. A differenza dei Sofisti, Socrate ritiene che sia possibile cogliere la verità, ma prima è necessario sbarazzarsi della illusione di sapere.

Il dialogo socratico parte dalla richiesta di una definizione. Cos’è la bellezza? Cos’è la giustizia? Cos’è il bene? Chiunque ritiene di saper rispondere a queste domande, ma se si chiede di dare una definizione esatta le difficoltà non sono poche.

Interrogando coloro che si ritengono sapienti, Socrate chiede costantemente di specificare meglio quello che stanno dicendo, di argomentare in modo rigoroso, dimostrare passo dopo passo le loro affermazioni. Ben presto questo interrogare rigoroso svela l’inconsistenza di quel sapere, fino al punto che l’interlocutore è costretto ad ammettere di non sapere. È questa l’ironia socratica, la cui funzione è quella di liberare l’interlocutore dal falso sapere che impedisce la ricerca della verità.

La fase successiva è la maieutica. Socrate continua ad interrogare l’interlocutore fino a metterlo sulla strada della verità. Esattamente come una levatrice (che, come sappiamo, era il lavoro di sua madre) aiuta una partoriente a far nascere il figlio, così il maieuta aiuta l’interlocutore a far venire alla luce la verità che ognuno ha in sé, ma che è soffocata da convinzioni superficiali. Socrate non ha alcuna verità da insegnare, così come una levatrice non ha concepito lei stessa il bambino che aiuta a nascere.

Conoscenza e bene

La dimostrazione pubblica dell’ignoranza di coloro che si suppongono sapienti è dunque solo parte del compito di Socrate, il cui fine è invece di guidare verso la conquista della verità. Si tratta di una missione anche etica, perché come anticipato esiste per Socrate un legame essenziale tra la conoscenza e il bene. Sapere cosa è il bene e fare il bene per Socrate sono tutt’uno. Non è possibile che qualcuno faccia consapevolmente il mare. Si fa il male per ignoranza: perché si confonde il male con il bene, dal momento che non si è in grado di identificare il bene (è questo il cosiddetto intellettualismo socratico). Per questo la conoscenza, che ci conduce a cogliere l’essenza delle cose, e dunque anche delle virtù, ha un valore etico.

Fare ingiustizia è peggio che subirla

Nel Gorgia il Socrate platonico giunge alla sua più alta formulazione etica. Discutendo con i sofisti Polo e Callicle, Socrate afferma che il male più grande è compiere ingiustizia. Che fare ingiustizia sia una cosa brutta è evidente. Ma esiste una relazione tra brutto e male e tra bene e bello. Dunque fare ingiustizia è anche un male. Di qui la conclusione che fare ingiustizia è peggio che subirla (Gorgia, 475C), che suscita la violenta reazione di Callicle, secondo il quale le leggi sono state create dai più deboli per questo l’uomo forte ha il diritto naturale di considerarsi libero da esse, seguendo i propri desideri e il proprio piacere, senza curarsi del bene e della giustizia. Rispondendo a Callicle, Socrate confuta l’identificazione di bene e piacere con un argomento sottile: proviamo piacere solo se c’è un bisogno, che è però sofferenza. Ad esempio, proviamo piacere mangiando solo se abbiamo fame, ossia se proviamo prima una forma di disagio. Chi gode dunque non sta davvero bene, perché non potrebbe godere senza prima soffrire; per questo il piacere non può essere il bene (Gorgia, 497A).

Bibliografia essenziale

Fonti

Aristofane, Le nuvole, a cura di Alessandro Grilli, BUR, Milano 2005.
Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei più celebri filosofi, a cura di Giovanni Reale, Bompiani, Milano 2006 (seconda edizione).
Platone, Tutti gli scritti, a cura di Giovanni Reale, Rusconi, Milano 1992 (terza edizione).
Senofonte, Tutti gli scritti socratici, a cura di Livia De Martinis, Bompiani, Milano 2013.

Studi

Francesco Adorno, Introduzione a Socrate, Laterza, Roma-Bari 1970.
Gabriele Giannantoni, Che cosa ha veramente detto Socrate, Ubaldini, Roma 1971.
Walter Otto, Socrate e l’uomo greco, Marinotti, Milano 2005.
Giovanni Reale, Socrate. Alla scoperta della sapienza umana, BUR, Milano 2000.

Testi

Senofonte

█ L'autodominio
"Conosci te stesso"
L'esistenza di Dio
Importanza del lavoro manuale

Platone

Ritratto di Socrate
La missione di Socrate
Il commiato di Socrate
La filosofia come pratica di liberazione
La maieutica di Socrate

Focus

Perché Socrate fu condannato a morte?
Socrate e la scrittura
Il demone socratico
Socrate e l'obiezione di coscienza

 

Testo di Antonio Vigilante. Licenza CC BY-SA 4.0 International.